ANALISI DELL’INTRODUZIONE DELLA LINGUA ANGLO-AMERICANA NELL’ADVERTISING ITALIANO ATTRAVERSO LA LETTURA DELLA RIVISTA "MAX"

Introduzione metodologica

Shopping in un quartiere inglese di Milano
L’abbigliamento
Le scarpe
I jeans
I profumi
Gli occhiali
Gli orologi
I liquori, la birra
L'Hi-Fi
Le discoteche
Le automobili, le moto
Il cibo, le bevande


Qualche annotazione finale

CONCLUSIONE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In questo capitolo si intende analizzare, attraverso esempi tratti dalla pubblicistica italiana, il linguaggio della pubblicità nella sua evoluzione, con particolare riferimento all’introduzione della lingua inglese nell’advertising italiano. A tal fine si sono prese in esame quattordici annate del rotocalco "Max", mensile di moda, attualità e costume destinato ad un pubblico maschile di fascia medio-alta e dalla spiccata propensione a un consumo raffinato. I numeri presi in considerazione vanno dal primo fascicolo (gennaio 1985) fino a quello del luglio 1999. L’esame ha seguito un criterio diacronico, accostando all’interno dei diversi settori merceologici ritenuti interessanti per l’analisi esempi di pubblicità significative prodotte in anni differenti, allo scopo di verificare l’eventuale evoluzione nel tempo delle soluzioni lessicali e stilistiche di volta in volta adottate.

L’introduzione dell’inglese e delle sue forme americanizzanti all’interno del lessico pubblicitario italiano è avvenuta secondo un cammino di progressiva conquista; da una pubblicità tutta in italiano si è passati alla creazione di prodotti e linee con nomi inglesi, per arrivare in seguito all’introduzione – a fine pagina, accanto al marchio – di intere frasi in inglese destinate a conferire al prodotto un’immagine di cosmopolitismo e modernità. Il passo successivo è stato il trionfo del coal switching, con l’utilizzo di termini anglo-americani all’interno del testo che descrive la merce, la quale continua ad essere, nella struttura portante, scritto in italiano; attualmente è peraltro assai frequente la produzione di messaggi pubblicitari composti interamente in inglese, dal nome della casa a quello del prodotto fino alla descrizione e alla frase giustapposta al marchio.

 

 

 

 

    1. Shopping in un quartiere inglese di Milano

Notiamo in primo luogo alcune caratteristiche generali che accomunano le pubblicità dei diversi prodotti di ciascuna casa.

La Diesel, ditta produttrice di abbigliamento giovanile il cui profilo è caratterizzato da una forte carica eversiva e al tempo stesso ironica, presenta a partire dagli anni Novanta un logo seguito da una frase standard, "capitolo" di un immaginario decalogo per una vita di successo e foriera di soddisfazioni:

Number in a series of "How to..." guides to successful living for people interested in general health and mental power.

Questo slogan è sempre seguito da una frase, da una massima o da consigli che, nell’intenzione del pubblicitario, offrono soccorso sulla vita quotidiana, per dare il meglio di sé: un invito spregiudicato al carpe diem e a cogliere il meglio dell’esistenza. Tutte le pubblicità sono numerate e, nel loro insieme, costituiscono una specie di manuale per l’uomo di successo che sa raggiungere in ogni occasione la totale soddisfazione mentale e fisica, applicando il motto di Giovenale mens sana in corpore sano.

Un altro esempio della serialità di alcune campagne pubblicitarie è costituito da quelle realizzate per alcuni produttori di sigarette: per esempio la pubblicità della Marlboro, ditta che, oltre ad aver concesso il proprio marchio ad aziende leader nel settore dell’abbigliamento e degli accessori, ha siglato – coerentemente con l’immagine avventurosa che contraddistingue le pubblicità del marchio - anche la produzione di alcune guide turistiche. E’ il caso (si veda il numero 6 di "Max", 1994) dei Marlboro Country Books e dei Marlboro Country Travels, le cui pubblicità sono dominate da espressioni quali Make it real, Wild spirit, Enjoy the country, Lifestyle in nature.

Interessanti anche le guide con il marchio Camel (n. 3, 1993), che invitano il lettore a A world of satisfaction, riecheggiando fra l’altro tutta la mitologia del rock’n’roll degli anni Sessanta e Settanta, fatta di trasgressioni e del mito di una vita libera dalle regole.

Le Rothmans Publications, note anche come "le guide del mare", pur non recando il trade mark della casa americana di tabacchi sono da associarsi inequivocabilmente ad essa, in quanto il logogramma Rothmans Publications (si veda il n. 9, 1992) presenta gli stessi colori e caratteri del marchio caratteristico dei pacchetti di sigarette.

Lo stesso vale per l’iconografia della motocicletta Cagiva Lucky Explorer (n. 9, 1992), il cui iconogramma richiama chiaramente il marchio delle sigarette Lucky Strike: si tratta, in questo caso, di un esempio di pubblicità mascherata, come avviene del resto anche per la campagna della Mercedes che mostra il proprio bolide di Formula uno, la monoposto McLaren, la quale reca generalmente il nome dello sponsor, la casa di sigarette West. Poiché in alcuni paesi, fra cui l’Italia, la pubblicità dei tabacchi è vietata, i pubblicitari hanno sostituito il marchio West con i nomi dei piloti – Mika e David – composti peraltro con caratteri che ricordano nello stile e nei colori il logogramma del prodotto realmente sottostante.

L’abbigliamento

Nell’ambito della pubblicità dei prodotti per l’abbigliamento notiamo in primo luogo l’uso abbondante e ripetuto della parola wear usata come sostantivo e preceduta da diversi termini indicanti un determinato tipo di abbigliamento o di accessorio, come cinture, occhiali, borse.

Tutte le parole che precedono l’inglese wear sono da considerarsi i relativi aggettivi, data anche la formazione delle parole stesse, la cui costruzione grammaticale segue le regole della lingua inglese.

Elenchiamo, fra le espressioni più ricorrenti, alcuni esempi tratti da vari numeri di "Max":

Armani underwear (n. 4, 1986); Clan sportswear (n. 11, 1986); Paul Darquist country wear (n. 7, 1987); Ciao sports wear n. 8, 1987); Ivy Oxford sports wear (n. 4, 1997); Winkler utility and outwear (n. 7, 1988); Allen Cox beach wear (n. 6, 1991); Gymnasium polo wear (n. 8, 1991); Chiemsee activewear (n. 3, 1992); Rocco Barocco knitwear (n. 3, 1992); Camel Trophy: adventure shoeswear (n. 9, 1992); Ten yards leisurewear by Colmar (n. 10, 1992); Merit Cup hi-tech wear (n.7, 1993); Chambers knitwear (n. 3, 1994); Ciesse goose & gander sportswear (n. 9, 1994); Guess eyewear (n. 10, 1994); Armani swimwear (n. 6, 1995); Everlast: hi-performance activewear (n. 10, 1996); Kawasaki street wear (n. 12, 1996); Fossil watchwear (n. 12, 1997); Salewa: alpine technology wear (n. 3, 1998); Atlanta: sportshoes & sportswear (n. 3, 1998); Diesel: garments and leisure wear (n. 4, 1998); Oxbow: wind, water, snow and racing sportswear (n. 10, 1998); No limits: sports & technical wear (n. 11, 1998); Think Pink: outdoor & sportswear (n. 11, 1998); Ski, snowboard and street accessorieswear (n. 11, 1998); Mash jeanswear (n. 8, 1999).

Se la pubblicità degli anni Ottanta era pressoché esclusivamente scritta in italiano in tutte le sue parti, gli anni seguenti vedono l’inserimento di elementi tratti dall’ inglese. La maglieria Sevres è reclamizzata nel 1986 (n. 4) con lo slogan Prestatelo solo a chi amate, ma dal 1998 in poi al marchio è affiancato il logo leisurewear (n. 10, 1998); la Ermenegildo Zegna caratterizza i propri capi di abbigliamento, destinati a chi vuol vivere in simbiosi con la natura, con l’aggettivo naturali (n. 1, 1985), ma già un mese dopo (n. 2, 1985) si affianca ad un articoletto descrittivo in italiano dalla struttura anaforica (E’ un nuovo vestire per l’Estate: abiti e giacche dal peso piuma […]/ E’ un nuovo confort per l’Estate è […]/ E’ un nuovo prodotto per l’Estate […] E’ lo stile Ermenegildo Zegna per l’Estate […] l’espressione "specialistica" high performance. La linea di abbigliamento intimo Amerigo (n. 6, 1995) non presenta alcun logo in inglese e sceglie di illustrare il prodotto con un testo a tutta pagina che, composto in un carattere e uno stile arcaici, stabilisce un legame fra la scoperta del nuovo mondo e l’avventura della moderna produzione di slip e boxer (non per niente lo slogan Uomo in vista richiama apertamente il linguaggio dei marinai). Al contrario Armani, nello stesso anno (n. 10), utilizza per i propri capi di biancheria l’espressione underwear, seguita da un articoletto descrittivo in italiano: Essenziale nelle linee, raffinata nei particolari, rigorosamente bianca […]: così Giorgio Armani ha creato la sua nuova biancheria intima….

Pare dunque di poter ravvisare in genere una tendenza all’uso di espressioni inglesi soprattutto allo scopo di attirare l’attenzione del consumatore, di colpire la sua fantasia con una parola relativamente esotica – siamo negli anni Ottanta e quando l’uso delle lingue straniere è ancora scarso in pubblicità – mentre la parte didascalica ed esplicativa del messaggio, che deve comunicare le informazioni essenziali sul prodotto, è in italiano e punta dunque ad essere compresa in modo non ambiguo.

Una particella assai frequente – spesso con effetti risibili, quando non utilizzata del tutto a sproposito – è by, a sostituire la nostrana preposizione di, seguita dal nome della casa produttrice. Alcuni esempi da "Max": Trench coat by Sicons (n. 1, 1985); Ten yards… leisurewear by Colmar (n. 10, 1992); Moods by Krizia (n. 1, 1990); Occhiali Sting… designed by Enzo Sopracolle (n. 1, 1990); Example by Missoni (n. 3, 1990).

Sempre nell’ambito delle preposizioni, è da notare la sostituzione di dal seguito dall’anno di nascita della linea, del prodotto o della casa, con since: Invicta, travelling and sporting goods since 1906 (n. 7, 1991); si nota in questo caso l’utilizzo della parola goods preceduta da forme aggettivali in luogo dell’italiano prodotti per (il viaggio, lo sport, il tempo libero…).

Nel numero 3 del 1987 G. B. Pedrini qualifica i propri capi di vestiario con l’espressione moda non stop; la Muratti (e si verifica in questo esempio un altro caso di pubblicità occulta, dove ad essere mascherata è la ditta produttrice di sigarette, che concede il proprio marchio ad una linea di abbigliamento) presenta la linea New time (n. 9, 1987); Clan (n. 6, 1986) e Ciao (n. 3, 1987) reclamizzano articoli di sportswear; la Ivy Oxford (n. 6, 1986) definisce gli abiti reclamizzati come leisure for pleasure, espressione nella quale si riscontra una allitterazione del suono nonché una ridondanza del concetto, vista la somiglianza delle due parole le quali significano entrambe piacere.

La casa U-boat, presentando un’immagine di operai al lavoro, garantisce di produrre non tanto per il divertimento o il piacere di chi indosserà i suoi capi, quanto per un pubblico che intenda sottoporli a dure prove di resistenza: si tratta infatti di hardwear garments (n. 3, 1987). Si ha qui uno dei primi esempi di pubblicità che sottolinea, piuttosto che la piacevolezza e l’eleganza del prodotto, la sua indistruttibilità; si tratta di una tendenza alla valorizzazione degli elementi "concreti", solidi, affidabili dei capi di abbigliamento che sarà in futuro sfruttata soprattutto per le linee giovanili e per i capi in jeans che, indirizzati almeno inizialmente ad un pubblico quasi esclusivamente giovanile, intendono porsi anche come oggetto di affezione, compagni di vita e non semplicemente accessori di un’immagine puramente esteriore.

Ciò vale anche per le magliette Motor oil (n. 7, 1987), sweat shirts descritte in italiano ma accompagnate dall’assicurazione, espressa in un inglese ritenuto più efficace, We make quality product.

Ritorna l’annotazione tecnica sull’affidabilità tecnologica della qualità del prodotto nella pubblicità della Resistòn (n. 7, 1987), che reclamizza a general hi-fi product… It’s a general concept a indicare una filosofia di vita che questi abiti indurrebbero ad abbracciare: la filosofia, appunto, della qualità e della sicurezza nel tempo.

La Paul Darquist (n. 7, 1987) ambienta la propria linea di abbigliamento per il tempo libero (country wear) in un ovvio panorama di campagna. Lo slogan recita Paul is waiting for you, invitando il pubblico della rivista – per definizione urbanizzato, brillantemente inserito nel mondo delle professioni e del terziario – ad apprezzare il relax di una pausa elegantemente disinvolta.

La già citata U-boat, dopo aver lodato – in italiano - la capacità di resistenza dei propri tessuti e l’originalità di stile dei propri modelli, afferma perentoriamente: That’s dressing (n. 9, 1987). Questa pubblicità rappresenta il tipico esempio della struttura più frequentemente usata negli anni Ottanta: il marchio è in lingua inglese, la descrizione delle caratteristiche del prodotto è in italiano mentre la frase o la massima finali siglano con efficacia, di nuovo in inglese, il messaggio. Ci troviamo ancora sullo scorcio degli anni Ottanta quando iniziano ad apparire pubblicità interamente realizzate in inglese: è il caso dell’advertising della casa produttrice di abbigliamento giovanile Uniform, che descrive la brillante e scapigliata esistenza di un ragazzo abbigliato con i capi della linea 45 MPR: He was an innocent boy then and a darling little fellow in his lord suit and black hair like a boy on the stage. When I saw him at Matt Dillons he liked me. I know they all do wait, yes, wait, hold on, he was on the cards this morning when I laid out the deck union with a young stranger you met before... (JJ- Penelope). La fotografia mostra due ragazzi e una ragazza dall’espressione corrucciata, al limite della strafottenza: l’intento dell’accostamento fra l’immagine metropolitana e il testo frammentario ed ellittico che si può supporre essere stato scritto da una donna – forse dalla ragazza della foto – è quello di illustrare un modo di vivere "di corsa", alla ricerca della felicità; un’esistenza dai tratti tipicamente "giovani", problematici, affamati di esperienze e di conoscenze.

La Winkler (n. 7, 1988) delinea la propria linea di prodotti con l’espressione utility outwear, mentre Reporter, ditta di abbigliamento elegante-sportivo, individua il proprio target maschile e di gusti raffinati: Italian men’s wear (n. 7, 1988). Anche la Chambers pone l’accento sulla qualità, identificando il proprio marchio come the sign of quality: dopo aver descritto l’eccezionale resistenza a qualunque genere di maltrattamento dei tessuti utilizzati in una vita avventurosa e dinamica, li dichiara adatti for lasting fit and comfort (n. 7, 1988). La ditta Ingram si identifica come il leader nella camiceria italiana di qualità (n. 5, 1989): troviamo in questo caso un esempio del meccanismo del coal switching, cioè l’uso di una parola inglese ormai corrente e consueta nel lessico non solo pubblicitario italiano, la cui traduzione non avrebbe certamente lo stesso effetto fascinatorio e impedirebbe l’associazione immediata fra il prodotto e la sua destinazione élitaria, conferendo semmai al testo un qualche impaccio linguistico e stilistico. Altrettanto può dirsi di molti altri termini utilizzati correntemente in pubblicità nella versione originale e – nei fatti – intraducibili a meno di perdere buona parte della loro efficacia, come per esempio performance, shock, country, relax, manger.

L’uso di parole inglesi per indicare i diversi capi di abbigliamento si è venuto ampliando, del resto, fino a monopolizzare anche alcune tipologie di prodotti che possiedono una efficace denominazione italiana, ma che la pubblicità ha in buona misura canonizzato, rendendo la traduzione inglese di utilizzo corrente anche nel parlato quotidiano: nel numero 6 del 1991 l’advertising della Nazareno Gabrielli ci informa che fra i suoi prodotti si annoverano felpe, occhiali e t-shirts.

Mentre risulta inconcepibile inserire in una pubblicità le parole "mutande", "canottiera" o "maglietta", le più cosmopolite rowing shirts di Gian Marco Venturi (n. 4, 1992) vengono presentate come ideali per andare a scuola, in discoteca, a teatro, a passeggio con la fidanzata o a far visita all’amica che, grazie ai moderni Nuvenia pocket, ha risolto uno dei problemi più fastidiosi della propria esistenza.

Sulla stessa linea si pongono pongono le pubblicità Occhi verdi e Armony (n. 3, 1980) rispettivamente di costumi da bagno, reggiseni e mutande, referenti che subiscono una opportuna e più "moderna" trasformazione in beachwear, lingerie e underwear.

Negli anni Novanta si assiste ad una graduale quanto rapida apparizione di espressioni inglesi più complesse e articolate, che possono spingersi fino a costituire il vero e proprio centro concettuale del messaggio pubblicitario: Moschino, le cui campagne si contraddistinguono per un’impronta fortemente ironica, volutamente antifrastica, invita nel numero 2 del 1990 di "Max" a sottrarsi alla dittatura della moda (Stop the fashion system!) nel momento stesso in cui propone l’ennesimo prodotto di quell’industria. Nel numero 2 del 1995, la stessa ditta utilizza – ancora, con buona dose di autoironia - una delle espressioni più diffuse nei graffiti giovanili: Moschino for ever. La Hugo Boss, puntando sull’eleganza di capi destinati all’uomo dalle elevate aspettative sociali e professionali, rassicura il proprio pubblico sulla solidità di una tradizione che si evolve: Style is never out of fashion (n. 2, 1990); Charro (n. 3, 1992), con il logo bucolico the rose world, e Sisley (n. 3, 1993), che vanta una linea di relaxed elegance, si rivolgono invece ad un target giovanile che si suppone alla ricerca di un abbigliamento gradevole e comodo al tempo stesso. Ancora sul versante dei capi sportivi che non trascurano il particolare di moda, Colmar illustra le proprie giacche a vento termiche con la frase it’s always summer on the inside (n. 10, 1992). E’ ancora Colmar che, nel numero 3 del 1993, inserisce all’interno del testo descrittivo – in italiano – termini inglesi quali shocking (riferito ai colori) e i più tecnicistici integral equipe e Interlock system.

Un ennesimo esempio di compresenza di frasi in italiano e in inglese – anche se nel caso specifico esse sono nettamente separate, e non si verifica una vera e propria commistione fra i due registri – è rappresentato dalla pubblicità della Garr & Co. comparsa sul numero 6 del 1995: Garr, un uomo che ama la vita e conosce il mondo. Con sé porta solo le cose che gli sono indispensabili, e nel cuore il sorriso dei suoi amici migliori. Garr likes the world, likes his friends.

Ancora: Qicksilver: clothes for life (n. 6, 1985); Think pink: climbing the mountains to climb the waves (n. 6, 1985), frase che accompagna le immagini giustapposte di una montagna e di un surfista che cavalca le onde dell’oceano sulla sua tavola. In basso, una frase in italiano che traduce pressappoco lo slogan: con Think pink attraverso montagne selvagge per scalare montagne d’acqua. La pagina è completata dal marchio e dal logo Californian free thinking. La combinazione di inglese e italiano è quasi frenetica: le due lingue si inseguono a formare un continuum all’interno del quale non si distinguono quasi più l’idioma d’origine e quello di approdo, e del resto più che una funzione di traduzione lo slogan in italiano sembra rivestire quella di rafforzamento della frase inglese, considerata di per sé efficace e sufficiente a catturare l’attenzione di un lettore a suo agio con gli strumenti della lingua straniera, o quanto meno con le espressioni più diffuse di essa. Think pink ricorre ancora alla tecnica del coal switching nella pubblicità comparsa sul numero 12 del 1997 – born to be free, nella quale è sottinteso il richiamo all’epopea del far West e alla ribellione del ’68 – dove un giubbino viene descritto nelle sue caratteristiche in inglese con l’aggiunta di alcuni dati tecnici in italiano. Si nota in questo caso un rovesciamento rispetto alla usuale modalità secondo la quale la lingua italiana viene prescelta per la presentazione del prodotto e l’inglese inserito per dare "colore" al testo: qui è invece l’italiano che punteggia un testo redatto in inglese. La pubblicità è così strutturata: Snow jacket in nylon Oxford, wet & dry water repellent (colonna d’acqua 1.000) by modern designers.

Sempre nel campo della pubblicità di capi di abbigliamento sportivo troviamo altri slogan in inglese, accompagnati o no dal corrispettivo, più o meno fedele, in italiano: Timberland Bomber. Guaranteed to survive nature’s attack. Impermeabile, impenetrabile, indistruttibile. L’originale bomber Timberland resiste a tutti gli attacchi atmosferici (n. 9, 1995). Si nota la riproposizione del termine bomber immutato nelle due lingue: il pubblico giovane, al quale la pubblicità è rivolta, sa bene che si tratta di un tipo di giubbino in materiale sintetico, sul modello di quelli usati dai piloti d’aereo americani. La Fila, sul numero 10 del 1995, incita: cambia anche tu. Change the game, alludendo al gioco come attività sportiva: questa ditta nasce difatti come produttrice di abbigliamento per il tennis. Moschino (n. 10, 1995) sfrutta l’assonanza in uno slogan che diventerà un classico di tutte le campagne successive: cheap and chic.

Endurance (n. 3, 1996) giustappone all’immagine di un panorama selvaggio lo slogan for nomadic instincts. A way of life for people who travel the streets of the world in ultimate freedom. La Champion ricorre all’allitterazione per il suo authentic athletic apparel (n. 10, 1996). Singolare, e significativa, la trasformazione subita dallo slogan di Marlboro classics che, se sul numero 10 del 1995 veste l’uomo, sul numero 10 dell’anno seguente ormai fits the man. Brooksfield affianca all’espressione a way of life la didascalia per permettersi certi lussi ci vuole stoffa (n. 3, 1997): l’italiano non è utilizzato in funzione esplicativa di uno slogan che si considera oramai universalmente comprensibile, ma esclusivamente per siglare e commentare in maniera efficace il messaggio. Sul numero 12 del 1997 la linea di abbigliamento Einstein riprende lo slogan della campagna della stazione radiofonica Radio dee jay (One nation, one station) e lo trasforma – mantenendone l’allitterazione - in one nation, one fashion, chiudendo in qualche modo il cerchio della comunicazione mediatica che può utilizzare l’inglese come sua lingua d’elezione. Una lingua che non comporta, per essere efficace veicolo di comunicazione, un livello approfondito di conoscenza: l’importante è possedere un vocabolario di base fatto di pochi e ricorrenti termini, immediatamente identificativi di un mondo e di un tipo di prodotti. Così ritroviamo (n. 11, 1998) Think pink - che basa le proprie campagne su un forte richiamo all’elemento naturale, sportivo, contrario alle convenzioni e alle limitazioni cittadine - invitare a immergersi nella natura: enjoy the nature, dove l’imperativo utilizza uno dei verbi più sfruttati dall’advertising degli anni recenti, forte del tradizionale richiamo alla libertà collegato all’atmosfera degli anni Sessanta. E’ tutto in inglese il messaggio che illustra i costumi da bagno della DH line (n. 5, 1998): Hawaaian design, finest materials, expert construction. La Dockers (n. 11, 1998) unisce inglese e italiano nell’accostamento di due espressioni tipiche del linguaggio dei giovani, che sanno bene –poiché la utilizzano loro stessi – cosa significa l’incitazione take it easy: in buona sostanza ‘non tirartela!’, nel senso di prendere la vita con leggerezza e di avere nei confronti degli altri un atteggiamento spensierato.

Hanes (n. 11, 1998) compila invece un elenco di capi di abbigliamento interamente – e oramai inevitabilmente - in inglese: t-shirts, polos, sweats, chinos, shirts, jackets, underwear, belts, caps, bags. Coerentemente ad un uso familiare dell’inglese, il plurale è sempre in –s. Le sole parole italiane della pubblicità sono quelle, strettamente burocratiche, che invitano a chiedere informazioni ad un numero telefonico, anche se spesso l’espressione per informazioni… è sostituita da for information, o meglio dal più sintetico e oggi universalmente usato info.

Notiamo infine l’arguzia della campagna No limits: nella frase wear you wanna go si sfrutta la quasi omofonia di where e wear, suggerendo all’acquirente l’identificazione fra gli abiti e la libertà di percorrere, coperti di capi No limits, le strade del mondo.

      1. Le scarpe
      2. Sebbene possano considerarsi come appartenenti alla categoria "abbigliamento", le scarpe costituiscono un articolo che merita, nell’ambito pubblicitario, un’attenzione tutta particolare.

        Nei primi anni di pubblicazione della rivista "Max" si rileva il ricorso a pubblicità modellate sul tipo "classico", interamente composte in lingua italiana e ricche degli accorgimenti stilistici che abbiamo illustrato nella prima parte di questo lavoro, quali –fra gli altri - le varie figure retoriche o i calchi semantici. Gli anni Ottanta sono ancora il tempo di messaggi dettagliati, esaustivi, che ambiscono a conferire una patina tecnologica al processo produttivo. Per le Trappers (n. 1, 1985) un’intera pagina è dedicata all’illustrazione delle caratteristiche tecniche delle scarpe, e lo slogan le scarpe per andare in barca sembra confermare l’idea che si tratta di un articolo altamente specialistico, ripresa anche dalla struttura dell’advertising che imita quella di un articolo di giornale. La stessa dovizia di particolari, virata però in senso più fashion, è utilizzata nella pubblicità delle JP Tod’s (n. 1, 1985): Scarpe nobili e famose, raffinato complemento ad un guardaroba alternativo per l’uomo elegante e disinvolto. Le Timberland (n. 1, 1985) vantano la morbidezza di un guanto: Anatomia di una Timberland: una struttura di pelle, gomma e spago, di matrice artigianale, resa ancor più resistente dalle cuciture ben evidenti. E’ per eccellenza scarpa da viaggio e tempo libero. Anche le American eagle sono descritte puntigliosamente (n. 2, 1985): nate per lo sport, vivono dovunque. Il basket, il tennis, la vela, la corsa hanno creato le scarpe che subito hanno "fatto strada" anche in città. Notiamo che lo slogan costituisce in qualche misura un segnale sociale: la polisemia dell’espressione "fare strada" suggerisce il significato di progresso sociale. E la città è il luogo del business, dell’odierna avventura, dove camminare è avventurarsi nel mondo degli affari e della competizione.

        L’utilizzo di giochi linguistici è frequente: Diadora lavora molto nel tempo libero (n. 4, 1986); gli acquirenti delle Converse all star sono avvertiti: più volte ve le toglierete dai piedi (n. 4, 1986). Per le Puck (n. 9, 1994) si ricorre al calco, con lo slogan va’ dove ti porta Puck il quale richiama il titolo di un famoso romanzo (Va’ dove ti porta il cuore).

        Dalla metà degli anni Ottanta si assiste all’inserimento di parti in inglese (è da notare, del resto, che i nomi dei prodotti sono quasi esclusivamente in inglese già negli anni precedenti): Sperry lancia sul numero 4 del 1986) le linee Top sider e Top speed commentando, in italiano: mai una scarpa ha compiuto un passo così grande. Ancora una volta la polisemia dell’espressione evoca il camminare come l’azione del progredire socialmente ed economicamente. L’italiano continua ad essere dunque la lingua di riferimento, il cuore "didascalico" del messaggio, mentre l’inglese viene utilizzato soprattutto per il marchio o per brevi inserti. Sisley lancia (n. 11, 1986) la linea North territories illustrandola con una lunga descrizione in italiano, e lo stesso avviene per le Superga (n. 9, 1987). Hang ten, proponendo scarpe dai colori bizzarri e fosforescenti, evidenzia in grassetto la frase we’re the originals!, cui aggiunge segui le orme, con evidente riferimento al prodotto.

        Il 1990 segna la comparsa, nella pubblicità, di termini tecnici, di aspetto inglese, tratti soprattutto dal gergo sportivo: le Docksteps (n. 3, 1990) sono accompagnate dall’espressione comfort? Yes, thanks. Sullo stesso numero della rivista, a un’immagine di sportivi in tuta e scarpe da ginnastica Sisley che sorbiscono un tè è associata la frase tea-time fitness. La Nike presenta le scarpe modello Air tech dotate di suola in durathane e di tomaia in durabuck (n. 2, 1990), coniazioni di fantasia come l’hi-tech utilizzato per molte pubblicità di automobili e di articoli di alta fedeltà .

        Bruno Magli, ditta produttrice di scarpe costose e raffinate, celebra le proprie creazioni come the authentic country shoes, spiegando, in italiano, che per la loro produzione vengono seguite tecnologie d’avanguardia (n. 10, 1992). In accordo con l’immagine del suo marchio famoso in tutto il mondo, Camel trophy presenta, senza ulteriori descrizioni, le proprie shoes for adventure (n. 9, 1992). Si segue in questo caso il filone avventuroso-esotico sfruttato fra l’altro dalle pubblicità Marlboro e Camel nel richiamare la libertà dei grandi spazi americani e della natura selvaggia, dove il richiamo alla sfera della sessualità è implicito nella celebrazione della dimensione selvatica e pienamente naturale.

        La creazione di nuove linee vede il trionfo dell’inglese, sia nei marchi sia nelle brevi descrizioni: si veda, sul numero 2 del 1993, la collezione Spring della Palladium, con i modelli Ranger, Chief, Legend e Kit nei colori hi blue, low hi rouge, hi noir, low rouge, low noir.

        Le All star conferiscono personalità a chi le indossa; si veda la pubblicità, comparsa sul numero 7 del 1993, che assicura: the point is not to be beautiful, the point is to be yourself. Uno slogan interamente in inglese ha del resto già fatto la sua comparsa due anni prima (n. 2, 1990) nella pubblicità delle scarpe Saxone. Un testo piuttosto esteso descrive le caratteristiche del prodotto assieme a quelle del destinatario ideale. E’ una lunga celebrazione dell’esclusività di una tradizione: Shoes that set you apart from the crowd. Saxone gives you a style of walking that sets you apart from the crowd. Since 1783 the name Saxone has been associated with top quality footwear. The Saxone range of classic men’s and ladies shoes continues to be made in the traditional way by British craftsmen using the finest leather and Goodyear welted construction. Saxon shoes are both sporty and classic, unique in the changeable world of today’s fashion. Flexible soles, method "Goodyear".

        Altra pubblicità tutta in inglese è quella che sul numero 8 del 1996 reclamizza i Caterpillar boots: Walking machines. We shape the things we build, thereafter they shape us. Per lo stesso prodotto, sul numero 3 del 1997 compare un altro slogan inglese: Heading for the crossroads, find a way back. Nel 1998 (n. 3) la Docksteps propone un messaggio tutto in inglese, dal marchio allo slogan: Energy and substance in your ocksteps. The fundamental thing is to be in there; le Tremp sono contemporary shoes (n. 4, 1998) e le Lizard, dal canto loro, power grip sandals (n. 5, 1998). Per le scarpe ATL si fa ricorso a un messaggio lungo e dettagliato che, in inglese, ricalca la struttura di un vero e proprio articolo di giornale (n. 5, 1998). Gli scarponi Tecnica sono pure descritti in inglese: racing spirit […]. The racing concept […] Double tech for double comfort (n. 11, 1998) mentre la Lange, ditta produttrice di scarponi da sci, lancia sul numero 1 del 1999 i modelli Termotech e Softech. La Cult indirizza una domanda e un’esortazione al pubblico dei giovani consumatori: A new religion? Believe it!. Si tratta di un classico esempio di secolarizzazione, nel quale un prodotto della società dei consumi viene accostato all’aura religiosa e ne assorbe la dimensione mistica.

        Una particolare attenzione meritano le campagne prodotte per la Timberland, le quali dopo aver proposto una serie di pubblicità tutte in italiano passano all’inserimento nei testi di parole e brevi frasi in inglese. Alcuni esempi: sul numero 6 del 1991 sono illustrate le suole Trail grip, delle quali è esaltata l’aderenza al suolo; nello stesso anno, sul numero 8 di "Max", compare la pubblicità della linea di abbigliamento. Sotto il marchio compare la frase Wind, water, earth and sky, a sottolineare la filosofia di vita più consona all’acquirente di elezione di questi prodotti, fatti per il contatto con la natura.

        Anche la Buckaroo produce scarpe per chi ama la natura: i suoi boots sono quelli di the last cowboy, amati da coloro che credono fermamente che i miti non tramontano mai (n. 8, 1993). Questi termini riecheggiano la mitologia americana della frontiera, della conquista di nuovi territori, di una vita nuova e avventurosa che ha in dispregio le molli comodità della civilizzazione borghese.

        La commistione di inglese e italiano rimane, nelle pubblicità recenti, il leitmotiv linguistico: la Lotto reclamizza le sue calzature Stonefly (n. 9, 1994); le Converse all star vengono descritte in italiano e proposte nelle misure americane: 7, 7½, 8, 8½, 9 (n. 6, 1995); le Docksteps wash sono lavabili in lavatrice (n. 7, 1995); sul numero 6 del 1997 compare l’advertising Diadora che, unendo anch’esso inglese e italiano, fornisce un esempio di coal switching nell’utilizzo del nome del prodotto come elemento descrittivo del prodotto stesso. Il marchio si identifica dunque con l’oggetto: Diadora Hot: light your fire. Il tennis non è mai stato così hot. La polisemia è qui sfruttata nel richiamo erotico delle parole fire e hot.

      3. I jeans
      4. I jeans – l’abbreviazione per blue jeans è oramai universale – nascono americani. Le caratteristiche che li distinguono dai classici pantaloni sono il tessuto, in origine particolarmente ruvido e resistente, e il colore blu. Pur mantenendo la peculiarità della resistenza del cotone, i jeans – non più blu – hanno vissuto nel tempo profonde trasformazioni: l’allargamento della gamma dei colori e dei modelli li hanno resi un capo di abbigliamento assolutamente versatile, utilizzabile in qualsiasi occasione, anche nelle più formali, almeno per un certo target.

        L’affermarsi di alcune case produttrici – prima fra tutte la Levi’s – ha reso ridondante, soprattutto presso il pubblico giovanile, l’uso del termine generico jeans. Attualmente si acquista un paio di Levi’s, di Diesel, di Schott, di Chipie o di Calvin Klein: si concretizza in queste espressioni la figura retorica della sineddoche; il marchio è utilizzato per designare uno dei suoi prodotti.

        L’uso – assolutamente interclassista, da parte di un pubblico eterogeneo per età e cultura, per scelte politiche e professione – di questo capo sembra non conoscere crisi definitive, nonostante le temporanee flessioni nelle vendite; in Italia esso ha vissuto un momento di particolare, clamorosa notorietà negli anni Settanta, quando i jeans erano ancora un prodotto di nicchia, amato dai giovani e dai "ribelli" che mai si sarebbero piegati al conformismo del completo giacca-e-cravatta. La pubblicità creata da Emanuele Pirella e da Oliviero Toscani per la Jesus suscitò reazioni sdegnate da parte di un fronte quanto mai eterogeneo di osservatori. Gli slogan incriminati erano due, entrambi ironicamente blasfemi: un Chi mi ama mi segua stampigliato sulle natiche di una prosperosa modella ritratto in primissimo piano e un altrettanto audace Non avrai altro jeans all’infuori di me. Fra le critiche a queste pubblicità si segnalano quelle di Pier Paolo Pasolini dalle colonne del "Corriere della Sera" e quelle dell’"Osservatore Romano". Il Giurì della pubblicità bloccò la campagna, ma nulla poté – e anzi è ragionevole supporre che tutto il rumore sollevato intorno alla questione non poteva non ottenere l’effetto contrario – contro la verticale crescita della notorietà del marchio.

        Scandali a parte, i jeans hanno conquistato nel tempo una posizione di tranquillo dominio nel mercato giovanile, fra ricorrenti flessioni nelle vendite cui immancabilmente viene posto riparo con modelli sempre nuovi pur nella loro costante caratterizzazione in senso irriducibilmente – e moderatamente - anticonformista.

        Gli anni Ottanta sono caratterizzati da pubblicità ancora completamente in italiano: Sisley: inventario d’amore e d’avventura (n. 1, 1985); Stefanel, la moda che nasce dalla qualità (n. 1, 1985); Laura Biagiotti, una tentazione firmata (n. 10, 1985).

        Il passo successivo è quello della pubblicità bilingue. La Levi’s accosta alla fotografia di una coppia di ragazzi la frase un paio di noi (con l’uso di paio a richiamare il prodotto ma anche la coppia, con effetto socializzante) e un’ articolata didascalia inglese: this is a pair of Levi’s, America’s finest for over 135 years. Our two-horse brand is your guarantee (n. 3, 1990); per i jeans Jacob Cohen la descrizione è in italiano e lo slogan in inglese: fashion worker dress (n. 9, 1987).

        Già a partire dalla metà degli anni Ottanta si assiste alla introduzione di pubblicità costituite dall’unione di marchio – è da notare che i nomi dei jeans sono quasi esclusivamente inglesi e americani - e brevi frasi in inglese. Sul numero 11 del 1986 di "Max" compare la prima pubblicità di una fortunata campagna della Diesel la quale, tutta in inglese, ha per slogan fisso Authentic garments for work and leisure. Ma gli esempi sono pressoché infiniti: Cotton belt: a part of the American legend (n. 7, 1987); per il marchio Turquoise la pubblicità è ricalcata sulla tipologia dell’articolo di giornale dal contenuto informativo: This collection was designed with the considerable assistance of K. Jefferson Ltd., which has always manufactured garments solely for the Colorado mountain guides (n. 9, 1987). Lemon: the juice of life (n. 1, 1990); Katherine Hamnett: free the world! (n. 2, 1990); Rifle: jeans & jackets (n. 2, 1990); Casucci: we are the beginning of the legend (n. 9, 1992) e The world of jeans beyond the frontiers (n. 3, 1992); Big E: back to the legend (n. 3, 1993); Diesel: the alternative energy (n. 6, 1991); Avirex: an American story (n. 3, 1993); Charro: Western is an attitude, not a costume (n. 3, 1993); Pepper: no road is too long for a man who knows where he’s going (n. 1, 1990); Closed: open mind, Closed jeans (n. 9, 1992: si noti il gioco di parole sul significato di closed, che assume valenza positiva in quanto marchio di un capo sinonimo di libertà, in opposizione alla caratterizzazione negativa della "chiusura mentale" di chi, si suppone, non acquisterà mai un paio di questi jeans); Gaultier: safe sex jeans (n. 3, 1993). Jeans Spitfire: I’ve got to change (n. 9, 1994); Unlimited: world has many limits – live unlimited jeans! (n. 2, 1995), e Quality never goes out of style. Originalblue denim: the one and only (n. 9, 1995); Levi’s: not so regular (n. 3, 1996); Rifle: strong, very strong (n. 12, 1996). La JPM elenca una serie di caratteristiche: fine material only; hi-quality product; authentic style; for long wearing; satisfaction guaranteed; very nice price (n. 3, 1997). Energie: basic blue jeans (n. 3, 1998); le ironiche campagne della Levi’s, che sfruttano il filone gotico: the FUNeral party is open (n. 3, 1998), con l’immagine di un ragazzo che, ovviamente vestito di un paio di jeans, esce da una bara; Dr FUNkestein loves them, a commento della foto di un essere mostruoso che agguanta due teste umane (n. 5, 1998).

        Si nota in questo pur incompleto elenco l’affermarsi di una tendenza piuttosto uniforme – e dalla perdurante fortuna - nella scelta dei termini: essi devono richiamare e sottolineare l’elemento anticonformista e avventuroso insito nella natura del prodotto. Quella dei jeans è dunque una "leggenda", la loro dimensione è quasi sempre quella della più assoluta libertà, i vincoli sociali sono disciolti a favore di una spontaneità del comportamento, o meglio, dell’"attitudine" – altro termine-chiave - che vuole caratterizzare i capi e coloro che li indosseranno come portatori di uno status di indipendenza e di autonomia intellettuale. Rientra nell’affermazione di una dimensione libertaria e ribelle l’uso di molti termini riscontrati negli slogan elencati: il mito americano della libertà assoluta, la ribellione che si concretizza nell’uso di droghe, la ricerca di nuove dimensioni sociali propria degli anni Settanta.

        L’elemento ironico, frequentemente spinto a livelli di vero e proprio cinismo, è presente soprattutto nelle campagne della Levi’s e della Diesel. Per quest’ultimo marchio i creativi hanno scelto di privilegiare l’aspetto antifrastico, che sembra negare la dimensione di libertà che viene usualmente associata ai jeans. Nella pubblicità della Diesel si assiste difatti al rovesciamento della dimensione pesantemente retorica che caratterizza un immaginario giovanilistico e forzatamente ribelle altrimenti inscindibile dalla rappresentazione corrente. Questo vero e proprio "manuale" per una vita felice, tuttora in corso di pubblicazione sulla stampa, propone immagini iperrealiste, vagamente sgradevoli quando non decisamente repellenti, in una rilettura del tipico kitsch americano oramai patrimonio della cultura italiana e dell’Occidente del successful living e delle sue infallibili regole. Un esempio: sul numero 10 del 1995 compare la puntata 43a della saga. In alto a destra (l’immagine è quella, familiare agli spettatori cinematografici, de "La piccola bottega degli orrori", di un dentista sadico e della sua giovanissima e terrorizzata paziente e occupa due pagine) un riquadro annuncia: number 43 in a series of "How to…" guides to SUCCESSFUL LIVING for PEOPLE interested in general HEALTH and mental POWER… La didascalia in basso a sinistra sembra rivolgersi al lettore comune, insoddisfatto della propria vita: Yes, you are a really dull person. And, yes, you’ve always wanted to look like a movie star. Impossible? Nope! Not any longer! Here’s our little secret… Ancora il tema dell’opportunità, della possibilità di uscire dal grigiore della vita quotidiana.

        La composizione del testo, ricca di maiuscole e di sottolineature, di punti interrogativi ed esclamativi, trova un corrispettivo nelle espressioni altrettanto forzate e sopra le righe dei personaggi di questo fumetto moderno. I colori sono saturi, privi di sfumature, così come netti sono i giudizi espressi e imperativi i consigli forniti. Il successo e il "potere mentale" non ammettono incertezze. Alla saggezza in pillole dolciastre di tanta pubblicistica americana, la campagna "seriale" della Diesel risponde e corrisponde con l’esaltazione dell’american way of life, in una esaltazione che coincide, infine, con il suo ironico sovvertimento.

      5. I profumi
      6. La lingua di elezione delle prime pubblicità di profumi è il francese, cui si associano immediatamente un’idea di eleganza e una generica atmosfera di raffinatezza che ben si addicono a questa categoria di prodotti. Le prime annate di "Max" non fanno eccezione; ma con gli anni Novanta si assiste ad un deciso spostamento verso l’uso sempre più frequente dell’inglese, in omaggio al target della rivista, quello di un pubblico giovane e dinamico che si suppone più amante di essenze fresche e sportive. Il collegamento è, ancora una volta, fra il modello di vita proposto – dinamico, brillante, avventuroso e "rampante" – e gli accessori più confacenti ad esso; questi vengono progressivamente caratterizzati in senso sportivo e come depurati dai residui di un’eleganza vissuta come ridondante e paludata. Anche i nomi dei prodotti si trasformano: dai francesi eau de toilette e parfum si approda agli inglesi perfume, fragrance, scent. Lo stesso percorso è seguito dalle linee di cosmetici – make up – che frequentemente sono associate alle pubblicità dei profumi.

        Se negli anni Ottanta si registrava la prevalenza del francese, talvolta accostato all’italiano, nel decennio successivo l’inglese monopolizza dunque anche questo settore.

        Sul primo numero della rivista (n. 1, 1985) la pubblicità del profumo maschile Morris lo descrive semplicemente come il profumo del successo; troviamo poi (n. 2, 1985), Lacoste sulla pelle; Poison (in francese), il profumo di Christian Dior: c’è qualcosa in voi, è Dior! (n. 10, 1985); Aramis eau de cologne, con la bottiglia inquadrata all’interno di una scena di raffinata seduzione, è creato per essere la colonia più elegante del mondo. E’ diventato anche il più provocante n. 11, 1986); Cacharel: eau de toilette pour l’homme: verso nuovi orizzonti (n. 2, 1990). Ancora slogan in francese per Rotschild: une ligne complète pour hommes d’éxception… Il primo giorno di primavera merita un regalo (n. 1, 1985) e per Azzaro: un regard tourné vers l’avenir (n. 2, 1990): sia lo slogan francese sia quello italiano evidenziano la dimensione dell’avventura e della libertà.

        Con Trussardi, la cui pubblicità compare sul numero 3 del 1990, il marchio occupa l’intero spazio del messaggio, e l’action che è accostato al nome del profumo nello slogan è da intendersi come parola inglese pur nella sua identità grafica con il francese. Charro, che allarga la propria produzione dall’abbigliamento alla cura del corpo, produce un perfume dinamico e avventuroso, che si ispira nel packaging e nell’ambientazione del messaggio alla selvaggia natura americana, al mito della Frontiera e dei suoi cowboys: The sun is high enough to start the day (n. 1, 1991); la freschezza è la dimensione privilegiata da Mario Valentino per il suo Ocean rain (n. 6, 1991); New West propone un sensuale Skinscent for him and for her (n. 1, 1992); Boss Spirit celebra the fragrance of tomorrow (n. 1, 1992); Havana (con bottiglia a forma di sigaro) è the new fragrance for men (n. 10, 1994). Una delle rare apparizioni del francese nella pubblicità recente (e tanto più significativa se si considera che il prodotto è statunitense) si verifica nell’advertising di Calvin Klein eau de toilette (n. 10, 1994), che però esiste anche, sullo stesso numero della rivista, in versione for men. Davidoff Cool water esalta il rapporto con una natura incontaminata (n. 2, 1995), e un simile invito a superare le convenzioni viene da Giorgio Beverly Hills: set your spirit free. For men (n. 6, 1995). Anche i prodotti meno raffinati, come i deodoranti e le tinture per capelli, subiscono – nel passaggio all’inglese – una trasformazione che li vuole nobilitare conferendo loro un carattere cosmopolita: Gillette deodorant (n. 6, 1995); L’Oréal Casting (n. 11, 1995).

        L’elenco può proseguire con altri esempi, sempre caratterizzati dall’uso di brevi frasi o di singole parole inglesi: Yes, by Sergio Soldano: for lady and for men (n. 8, 1996; si noti il mancato accordo, per cui lady è al singolare mentre men è al plurale, da addebitare forse ad una trascuratezza nella traduzione); CK Eternity, for men (n. 12, 1996); Ralph Lauren, the fitness fragrance by Ralph Lauren (n. 4, 1997); Tommy Hilfiger, the real American fragrance (n. 12, 1997); CK. Be good. Be bad. Just be. The fragrance for people (n. 12, 1997); Lacoste Booster (n. 6, 1997); Gucci Envy, the new fragrance from Gucci (n. 5, 1998); Armani: get together with the two new fragrances (n. 11, 1998); harley Davidson eau de toilette: free space (n. 11, 1998); Nivea men: moisturizing shaving emulsion (n. 11, 1998); Best Company: born for men, loved by women (n. 12, 1998). Un singolare caso di vera e propria creazione linguistica è quello di Arrogance Me e Arrogance You che sfrutta le potenzialità offerte dall’identità fra nome e verbo inglesi. Lo slogan è completato dalla frase You Arrogance me! (n. 1, 1999), nella quale l’inesistente verbo to arrogance stabilisce un legame diretto fra il profumo e l’intenzione seduttiva implicita nell’indossarlo. Paco Rabanne XS (n. 6, 1999) utilizza l’omofonia fra la pronuncia delle due lettere e la parola excess: e difatti lo slogan recita there is no life without excess.

        La gamma dei termini utilizzati in questo tipo di pubblicità è piuttosto limitata, in un vocabolario stilizzato e fortemente icastico: gli slogan sono spesso brevissimi, diretti; l’efficacia del messaggio è di frequente demandata alle assonanze.

        Anche le linee cosmetiche seguono il medesimo schema: si vedano fra gli altri gli esempi dei prodotti per uomo Davidoff: cosmetics for men (n. 5, 1986); le creme solari Helena Rubinstein; golden beauty (n. 7, 1988); Aramis, thinning air supplement (n. 7, 1988); L’Oréal (cosmetici femminili), composite colours (n. 8, 1999); Oil of Olaz, active beauty fluid: bevanda ufficiale della tua pelle (n. 8, 1999).

        In generale, si nota nella gran parte di queste pubblicità la presenza di due diverse dimensioni, spesso proposte contemporaneamente, talvolta contrastanti almeno in apparenza. La caratterizzazione nel senso della raffinatezza e dell’eleganza, tipica di un prodotto di segmento alto, programmaticamente estraneo a un uso "popolare", è sempre presente – sia negli slogan sia nella parte iconografica – ma ad essa fa in qualche modo da contraltare un incitamento a lasciare da parte ogni costrizione sociale, o meglio a volgerla a proprio favore, come – si suggerisce – sanno fare gli "spiriti liberi" di quel ’68 tanto spesso evocato dalla pubblicità. Il profumo è dunque al tempo stesso un accessorio esclusivo, per persone dalle mete ambiziose e uno strumento di libertà dalle regole che la società impone ai suoi membri; è sottinteso il messaggio che un consumatore raffinato sa usare il prodotto, piuttosto che lasciarsi usare da questo.

      7. Gli occhiali
      8. Anche per gli occhiali la pubblicità italiana fa largo uso di termini anglo-americani. Se per quelli da vista la denominazione più usata è, insieme al francese lunettes, frames (che indica più esattamente la montatura), per le lenti da sole si riscontra il prevalere di sunglasses e di eyewear, dove quest’ultimo termine sottolinea la funzione di vero e proprio capo di abbigliamento, di complemento del vestire svolta da questi accessori. Molte pubblicità evidenziano infatti, utilizzando parole quali creation, look ed espressioni come made in…, il ruolo essenziale degli occhiali nella definizione dello stile di chi li indossa.

        Sul numero 11 del 1986 la Cazal descrive i propri occhiali come faces creation; i Ray Ban sono world wide sponsor (n. 6, 1991); Oliver è una linea made in Valentino (n. 3, 1992); per i Winchester, il cui slogan è over the frontiers, si evidenzia – come accade in molti altri casi – il nome del creatore: magic line styled by Cavallin (n. 3, 1992). Complemento del vestire, gli occhiali Calvin Klein sono definiti come eyewear (n. 7, 1993), mentre la Sunglasses collection Swatch è part of your face – at Swatch shops and Swatchy opticians (n. 9, 1993): dal marchio si fa derivare un aggettivo di fantasia, calcato sugli aggettivi inglesi marcati dal fonema –y.

        La tendenza generale è quella all’uso di nomi associati ad uno stile dinamico e sportivo: si vedano fra l’altro i Daytona by Sàfilo (n. 6, 1994) e le lenti a contatto Fresh look: scegli l’umore, cambia colore. Quattro colori per uno sguardo (n. 9, 1994), dove un prodotto originariamente destinato a correggere un difetto fisico viene trasformato in un capo di abbigliamento, da cambiare a seconda dello stato d’animo, dell’occasione e del colore del vestito.

        Roxy & Newave si limita ad un lapidario frames & sunglasses (n. 12, 1994), mentre per gli occhiali Ferrè la parola scelta è in francese, la più raffinata lunettes (n. 10, 1995). Per gli occhiali Look si accostano inglese e italiano: refreshing taste – Look occhiali – for your health (n. 10, 1995), con l’assimilazione delle lenti ad un prodotto dagli effetti benefici per la salute.

        La Diesel – che, come moltissime altre case di abbigliamento, è presente anche nel segmento produttivo degli accessori – ricorre anche per gli occhiali ad un tono ironico e dissacratorio: i Diesel Shades sono descritti come occhiali che possono cambiare la vita, rendendola glamourous come quella di un divo del cinema. La guida al successo (si veda il numero 10 del 1995 di "Max") impartisce le istruzioni da seguire: essere affascinante è forse impossibile? Nope! […] 1) comb in daily fab wax-and-fat solution for great well-fed hair, and 2) slip on a pair of those gorgeous Diesel Shade. But watch out – your new "dynamite" identity may cause your private and business life to explode… La costruzione, particolarmente elaborata e complessa, della frase – assai diversa dai semplici slogan utilizzati in genere, mere traduzioni di singole parole-chiave dirette ad un pubblico italiano la cui competenza linguistica resta tutto sommato limitata a pochi, fondamentali concetti - indica che siamo di fronte ad una pubblicità rivolta ad un target internazionale, che può capire le costruzioni tipicamente inglesi di espressioni spesso ricche di composti come daily fab wax-and-fat solution, articolate come well-fed hair, di uso gergale come nope, rafforzativo di no e tipico del linguaggio giovanile e colloquiale.

        Con gli occhiali FSL: not for spectators si introduce il gioco di parole fra "spettatore" passivo e chi invece, con queste lenti, "guarda" attivamente e partecipa alla vita (n. 11, 1995).

        Interamente in inglese è la pubblicità dei T. Force by Sàfilo: T. Force sunglasses, designed and produced by Sàfilo Group, are created for people with a high energy, active lifestyle and spirit (n. 3, 1996), che si inserisce senza residui nella tradizione dell’advertising "rassicurante", diretto a lusingare il suo target nell’aspirazione a crearsi uno stile dinamico e indipendente. Ciò vale anche per gli Sting, for extra ordinary people (n. 10, 1996), e per i Nose, il cui slogan invita a diventare protagonisti dei propri sogni: put on your Nose. Don’t dream it, see it! (n. 3, 1997: si noti il calembour fra nose come marchio e come naso, il "luogo" proprio degli occhiali). L’identificazione di occhiali e avventura, per cui le lenti proteggono sia dal sole sia dalle sorprese di una vita metropolitana ridotta a vero e proprio percorso di guerra è un filone inesauribile: si vedano ancora le pubblicità Kaio: life is dangerous! (n. 4, 1997), Momo: join the race! (n. 6, 1997), Red rose: life is light (n. 6, 1997) e Bollé sunglasses: four your own protection (n. 6, 1999).

      9. Gli orologi
      10. In quanto strumento di precisione, l’orologio è spesso presentato dalla pubblicità come accessorio indispensabile all’uomo moderno. La dimensione del tempo che corre, con appuntamenti cui non mancare, impegni da rispettare, scadenze da onorare, si presta in maniera eccellente all’elogio della contemporaneità, di cui il possessore di questo o quell’orologio è protagonista.

        I pubblicitari non trascurano comunque di sottolineare l’eleganza della linea, la preziosità dei materiali e l’accuratezza del processo produttivo. Se il primo esempio che riportiamo è in italiano – Torrini: l’età dell’oro (n. 1, 1985) – non tardano ad apparire sulla nostra rivista messaggi contenenti parole inglesi. Ecco infatti Longines che, sul numero 1 del 1985, presenta nei dettagli, in italiano, il proprio modello Conquest V.H.P. (sigla che, apprendiamo da una scritta riportata in basso a destra, significa Very High Precision). Sullo stesso numero di "Max" compare l’advertising di Hublot: a new adventure in time. Tag Heuer si affida all’immagine di una barca a vela e allo slogan anche a trenta nodi, un secondo è un secondo. Esatto. Sotto al al logo T.H. compare la scritta Time for action (n. 6, 1986). Se nel caso di questo marchio – orologi nati per prestazioni sportive, usati da velisti e piloti di Formula uno – il ricorso alla dimensione sportiva è scontato, nella grande maggioranza dei casi l’unione fra tempismo, velocità, sport, determinazione, sicurezza, performance caratterizza anche le pubblicità degli orologi "normali", che vengono in questo modo rivestiti di una patina di modernità e di dinamicità che supera la semplice pretesa di eleganza e raffinatezza. Al tempo stesso è presente il richiamo al mito della libertà che abbiamo visto caratterizzare numerosi altri slogan più o meno esplicitamente modellati sul mito americano della vita come avventura continua.

        Il tempo costituisce, come si è accennato, la dimensione intorno a cui gioca gran parte della pubblicità di orologi: tempo che passa e che costruisce attorno al prodotto una tradizione; tempo da misurare senza imprecisioni; tempo della leggenda nella quale alcuni articoli aspirano a collocarsi. E’ quest’ultimo il caso degli orologi Burberry’s – linea "storica" di abbigliamento, sinonimo di understatement e di scelte immutabili: la raffinatezza si affida, appunto, al tempo, e da esso è consacrata – che, dopo un’accurata descrizione in italiano dell’ultima collezione (definita in inglese collection), vengono presentati come il frutto di un passato glorioso: the legend grows in time (n. 2, 1990): è chiaro il gioco di parole per cui il time può essere sia quello che è passato dalla creazione degli orologi Burberry’s sia quello che essi, a tutt’oggi, segnano con precisione "leggendaria".

        Non infrequente è l’utilizzo, soprattutto nei primi anni Novanta, del francese (sul numero 3 del 1990: Paul Picot, noblesse du détail), che poi cede definitivamente il ruolo di lingua d’elezione anche per questo segmento del mercato all’inglese.

        Una pubblicità di notevole interesse è quella della Swatch, la casa che ha rivoluzionato il mercato proponendo orologi dichiaratamente "a tempo": pur essendo completamente fatti di plastica, dunque virtualmente indistruttibili, la filosofia degli Swatch è quella del continuo ricambio, della sostituzione di un modello all’altro, dell’avvicendamento dei colori e delle sgargianti decorazioni.

        Si tratta di una campagna destinata al mercato mondiale, come mondiale è la diffusione degli articoli reclamizzati: vi è costante la presenza della frase Swatch. The others just watch, dove l’astuzia è duplice: l’allitterazione conferisce enfasi allo slogan, mentre l’ambiguità di watch (che come verbo significa "guardare" e in quanto nome significa invece "orologio") stabilisce una netta separazione fra coloro che indossano uno Swatch e quelli che, invece, si limitano a guardare/comprare orologi privi di personalità. Il marchio, il cui nome sta all’inizio della frase, può forse essere anche inteso come un imperativo – qualcosa come "siate Swatch" – rivolto all’acquirente, sulla scia della tendenza, piuttosto frequente in pubblicità, alla creazione di nuovi termini, soprattutto derivativi, a partire dal nome della merce. A partire dal 1997 (nel numero 4) viene inserita la frase keep in shape, mentre dal gennaio 1998 tutti i modelli sono introdotti dall’espressione the other face of Swatch, e il logo del marchio è seguito dallo slogan time is what you make it. Acquistare uno Swatch è, prima e più che impossessarsi di un orologio, diventare padroni del tempo stesso. Ogni pubblicità è legata a un modello diverso, descritto con una sequenza di aggettivi e sostantivi posti all’interno di una costruzione grammaticale e sintattica tipicamente inglese, priva di interpunzione e fortemente nominale. Fra i diversi elenchi citiamo: Boreproof Melodic Appointment Reminder Swiss made (n. 9, 1994); Shockproof Boreproof Automatic Self-winding Swiss made (n. 10, 1994); The big cold (n. 10, 1995); President Russian Inspiration (n. 11, 1995); Information Landscape Theme (n. 10, 1996); Always late-Always early (n. 4, 1997); Automatic Body & Soul Stainless steel (n. 12, 1997); Chrono Secret Agent Silver (n. 12, 1998).

        Una pubblicità abbastanza celebre è quella della Breil, nella quale una bellissima top model afferma: toglietemi tutto, ma non il mio Breil. Per la pubblicità pubblicata su "Max" si assiste però all’inserimento dell’espressione bilingue Breil, the sound of the time/Breil, il tempo scorre melodicamente (n. 10, 1995). Tre anni dopo (n. 11, 1998) il messaggio creato per il modello Tribe è più perentorio, e esclusivamente in un inglese che conferisce al testo, nella scelta dei termini e della disposizione, un ritmo e una allitterazione che favoriscono l’assimilazione dello slogan: Life is short, live your mark.

        Alcune delle caratteristiche più celebrate degli orologi – soprattutto quelli da uomo – sono la resistenza e la precisione "professionale": troviamo allora Breitling, instruments for professionals (n. 12, 1994: segue ampia descrizione del prodotto in italiano); Casio lancia la linea G-shock con lo slogan Be first – Go fast – G-shock, che nella secca scansione ritmica e nel procedimento allitterativo adombra un’idea di tempismo e di originale affidabilità (n. 6, 1995); ancora G-shock by Casio sul numero 6 del 1997: let your heart beat faster. Per Tissot torna il gioco di parole fra watch-verbo e watch-sostantivo: Watch the world (n. 11, 1995), mentre Longines si affida al mito affermando che the legend lives on (n. 6, 1996) e rispolvera anche la tradizione della precisione elvetica che sembra conferire al tempo stesso una qualità tutta particolare: Swiss quality time (n. 5, 1998).

        La decadenza del francese nella pubblicità, iniziata circa dieci anni fa, è segnata dall’uso definitivo dell’inglese anche quando si intende conferire al marchio una allure speciale, inserendolo in una dimensione elegante e raffinata: si veda la pubblicità dell’orologio della Omega che costituisce the sign of excellence (n. 11, 1998).

        La Fossil annuncia la nascita di Big-Tic: Think Big-Tic (n. 12, 1998) è uno scioglilingua piuttosto che una frase vera e propria, e richiama il classico e abusato "tic-tac" delle lancette. Nell’advertising che la Sector pubblica sul numero 6 del 1999 si nota un esempio di coal switching: Sector Expander – Move your mind – Sector: una vita No limits, dove l’attributo di "vita" corrisponde anche al nome della linea che comprende il modello publicizzato. La parola, sembra suggerirci questo slogan, è la cosa; prodotto e funzione sono ormai coincidenti, indistinguibili, titolari a pari merito di un posto nella nostra lingua quotidiana.

         

         

      11. I liquori, la birra
      12. La pubblicità di bevande alcoliche compare assai di frequente su "Max". Il tono generale degli slogan è volto a creare un’atmosfera stereotipata di raffinata convivialità e di cameratesca intimità: il target è costituito da un pubblico che ama sia il gusto fresco e giovane della birra – bevanda che viene riscattata dalle origini popolari per diventare simbolo di gioventù e allegria – sia quello più impegnativo, da "esteti del sapore", dei superalcolici. Anche in questo caso l’uso dell’inglese svolge una funzione di modernizzazione, dà un tono cosmopolita al consumo di un prodotto che si affranca da connotazioni dannose per approdare alla veste di strumento di comunicazione. Per quanto riguarda i marchi, questi sono quasi sempre in inglese, anche per prodotti italiani o di paesi non anglosassoni.

        Sul numero 7 del 1987, la Amstel beer è descritta con tratti femminili - una strana birra per amica - la Corona è invece the largest selling Mexican beer in the world (n. 1, 1993); Are you strong enough for an Elephant?, chiede la pubblicità di Elephant, strong special beer (n. 6, 1995), utilizzando la polisemia del termine strong per far risaltare il tratto virile ed energico del target; la convivialità e un giovanile entusiasmo sono i punti di forza dell’advertising della birra Heineken: green generation. C’è feeling, c’è Heineken (n. 10, 1996). Sottolineano l’origine straniera, che nobilita la bevanda, le pubblicità di Ceres, the imported Danish beer (n. 9, 1995) e di Bavaria: 8,6 gradi di passione. Special Holland beer (n. 11, 1998).

        I liquori sono in genere caratterizzati dall’invecchiamento, garanzia di un gusto pieno e "rotondo". Anche per questi prodotti si registra il frequente ricorso alla lingua inglese, spesso impiegata in brevi frasi che ne riassumono le caratteristiche. L’inglese monopolizza questo tipo di pubblicità, nella quale quasi sempre il marchio viene usato con sineddoche al posto del tipo di prodotto: un Johnnie Walker, un Ballantine’s sostituiscono egregiamente "un whisky"; e del resto è ormai patrimonio comune la conoscenza delle diverse qualità, per cui alla denominazione generica della bevanda si sostituiscono le sue "classi", sempre indicate in inglese poiché la loro origine è quasi esclusivamente anglosassone: un bourbon, uno scotch.

        Del whisky Ballantine’s uno slogan che unisce inglese e italiano sottolinea l’età: 12 anni, 12 years old, 12 years better (n. 10, 1985); il Porto Sandeman, fine ruby, garantisce total satisfaction (n. 6, 1989) echeggiando la mitologia musicale pop ed evocandone indirettamente l’atmosfera ribelle alle regole.

        Lo slogan di Southern Comfort, the grand old drink of the South (n. 6, 1994) riproduce la frase riportata sull’etichetta. Il francesismo grand (imponente, maestoso, egregio) conferisce al prodotto un tono di internazionalità: se la medesima frase fosse stata scritta da pubblicitari italiani, con ogni probabilità avremmo trovato l’aggettivo great, assai più sfruttato e logorato da un uso ormai quotidiano, indifferenziato. Il testo continua con la descrizione in italiano del gusto, della qualità e della storia del whisky; espressioni come ragtime e drink segnalano il ricorso al coal switching: tali parole costituiscono difatti lemmi accolti a pieno titolo nel dizionario italiano. Dal punto di vista semantico drink possiede una connotazione assolutamente diversa dal nostro bevanda, e chi invitasse una signorina a prendere un aperitivo le offrirebbe un drink e non certo una bevanda. A conferma di ciò, la conclusione è affidata al logo del whisky accostato alla frase il leggendario drink del Mississipi.

        Nell’advertising di Jack Daniel’s (n. 6, 1994) si mostra la figura di un uomo che assaggia il whisky direttamente da una botte. La descrizione, in italiano, ce lo indica come taster della distilleria Jack Daniel’s, connotandolo come esperto, corrispettivo americano del sommelier di vini, generalmente europeo.

        L’origine americana come garanzia di qualità è sottolineata anche nella pubblicità del whisky Jim Beam: the American spirit since 1795 (n. 12, 1994), dove la polisemia di spirit è eloquente: la parola sta tanto per alcol quanto per spirito. Per la vodka Absolut (n. 6, 1995) viene posta in evidenza l’etichetta della bottiglia, che costituisce il punto focale della pubblicità: anche in questo caso la nazionalità costituisce elemento di forza (Country of Sweden), mentre il messaggio afferma: this superb vodka was distilled from grain grown in the rich fields of southern Sweden. It has been produced at the famous distilleries near Ahous in accordance with more than 400 years of Swedish tradition. A conclusione, una frase in italiano, infarcita però dei noti termini inglesi, prestiti ormai acclimatati nel vocabolario italiano: Absolut vodka è la scelta migliore. Gustatela liscia o con ghiaccio nei drinks o nei cocktails.

        Anche le bevande non anglosassoni, dunque, sono oggetto di pubblicità che privilegiano l’uso dell’inglese, vera lingua universale per questo tipo di prodotti. Per Suaza, gold tequila, lo slogan recita body shots (n. 8, 1996).

        Spesso i messaggi pubblicitari suggeriscono le ricette ideali per gustare appieno il prodotto; queste sono generalmente in italiano, come anche l’indicazione degli ingredienti del liquore. La frase "forte" dello slogan rimane però immancabilmente in inglese: si veda, fra gli altri, il messaggio che pubblicizza l’irlandese Sheridan’s: 1/3 delicato alla crema, 2/3 deciso al caffè e al cioccolato. Original double Irish liqueur (n. 1, 1997).

      13. L’hi-fi
      14. Come per le automobili, gli hi-fi – termine così profondamente penetrato nell’italiano da rendere difficile richiamare alla mente un efficace corrispettivo nostrano; ciò è dovuto principalmente al fatto che la produzione di articoli di alta fedeltà è "per nascita" anglosassone – costituiscono un genere di prodotti di sostanza e funzionanti grazie a meccanismi sosfisticati. Essi hanno dunque bisogno di una descrizione tecnica, tanto più accurata in quanto si tratta di articoli di precisione e frutto di una tecnologia avanzata. I prodotti come i jeans o gli accessori possono essere efficacemente presentati anche a prescindere da una "scheda tecnica", poiché il loro aspetto costituisce di per sé elemento di distinzione; al contrario, l’alta fedeltà affida la "personalizzazione" del prodotto a particolari anche minimi, che devono essere sottolineati se si vuole caratterizzare il prodotto come "un passo avanti". L’inglese è essenziale in queste descrizioni tecniche, poiché i termini principali sono compresi dal pubblico cui ci si rivolge, che è abbastanza evoluto e aggiornato da conoscere il lessico specialistico. Ma l’elemento tecnico viene progressivamente a declinare per fare posto a frasi ed epiteti che sottolineano ed evidenziano il marchio: anche la pubblicità dell’hi-fi, dunque, vive una ininterrotta evoluzione verso la secchezza icastica di una lingua che punta a colpire il pubblico oltre che a informarlo.

        La pubblicità della Akai (n. 2, 1985) si basa sulla rima: Passa ad Akai, il dio dell’hi-fi; Majestic rappresenta il nuovo look della musica (n. 5, 1985); la Sony descrive in italiano il proprio Compact disc player: Qualità. Suono. Emozioni. La Pioneer crea la linea componibile Shelf ; al marchio, tradizionalmente inglese, affianca una serie di slogan italiani. Sul numero 10 del 1985: Stasera non esco; n. 12, 1985: Sviluppate anche i muscoli delle orecchie; n. 11, 1986: Ricomincio da Shelf. Il futuro del suono e dell’immagine; n. 1, 1988: Belli, ricchi e potenti. Dal 1992 (n. 1) appare, accanto al marchio, la frase, pure in inglese, The art of entertainment. Anche la Sony ricorre ad uno slogan in italiano – fine delle interferenze – per il modello Super tuner (n. 10, 1988).

        Le schede tecniche sono ricche di termini inglesi. Alcuni esempi fra i più frequenti: tuner al posto di radio; tape player per mangiacassette; cd player per lettore di cd; music search per ricerca del brano; remote control system per telecomando; autoreverse per riavvolgimento automatico. E’ evidente la maggiore funzionalità ed efficacia dei termini inglesi, i quali risultano più facilmente memorizzabili del loro corrispettivo italiano; e del resto l’uso dell’inglese contribuisce in maniera determinante a conferire una veste di affidabilità e di perfezione che le spesso involute espressioni italiane difficilmente riuscirebbero a evocare.

        Proseguendo la lettura di "Max" troviamo la pubblicità del Walkman Sony, esempio per eccellenza di prodotto dal nome intraducibile, perché "nato" in inglese; Walkman, composto ormai usato per indicare gli apparecchi portatili di riproduzione di musicassette in genere, è in effetti un marchio registrato Sony: Sony personal hi-fi. Cassette player. Expansion circuit (n. 1, 1991).

        Le considerazioni fin qui esposte valgono per ogni tipo di articolo basato sulla tecnologia elettronica o comunque di alta precisione. Canon ION, still video camera (n. 3, 1990); Philips Miniexplore (n. 6, 1991); Kodak fun (n. 7, 1993). Lo slogan della TDK generation: new and forever (n. 1, 1997), richiama l’espressione Now and forever – usata per chiosare dichiarazioni d’amore - sfruttando l’equivoco fra la pretesa novità del prodotto e la sua durata e fedeltà nel tempo. Anche la Panasonic, nella descrizione – in italiano – dei suoi prodotti introduce termini specialistici inglesi: active use memory, memory. Yaschica, l’impero delle immagini. Samurai: integrated technology (n. 6, 1988; da notare, nella parte italiana del testo, l’allusione al film – giapponese come la videocamera reclamizzata – L’impero dei sensi. Un gioco di parole è alla base anche della pubblicità del computer Olidata: the new computer industry. Oggi il pc spento va di "modem" (n. 11, 1995). La pubblicità dei computer è caratterizzata dalla presenza di brevi didascalie in italiano ricche di termini inglesi quali fax, modem, message, flash, software, plug & play (si veda la pubblicità della U.S. Robotics, n. 11, 1998). Il computer della Siemens, chiamato Xpert, sfrutta la pronuncia della X che consente di riprodurre abbreviata la parola expert (n. 12, 1998).

        Tra le pubblicità dei rasoi segnaliamo quella della Braun, che produce uno shave & shaper, designer della barba (n. 12, 1996); Wilkinson Sword Fx performer: scopri la flessibilità, senti la performance (n. 6, 1997) offre un esempio di coal switching. Troviamo inoltre Philishave: cool skin (n. 11, 1998) e, ancora per il marchio Philips, lo slogan Let’s make things better (n. 6, 1999).

        Il prodotto che monopolizza le più recenti pagine di "Max" è senza dubbio il telefono cellulare. Le pubblicità dei "telefonini" e dei gestori di rete nascono in italiano in omaggio alla necessità di fornire al pubblico le numerose informazioni tecniche sul funzionamento della telefonia mobile, ma – in seguito ad una diffusione rapidissima di questo genere di articoli, maneggiati con familiarità dalla maggioranza degli italiani – ben presto l’inglese ha conquistato il posto d’onore all’interno dei messaggi.

        Sul numero 3 del 1993 troviamo la pubblicità della Nokia, connecting people; Omnitel definisce i propri modelli il vero status symbol dei nostri giorni (n. 8, 1996) e pubblicizza la carta ricaricabile Summer card (n. 6, 1999). Dopo la Telecom e la Omnitel, si affaccia sul mercato, nel 1999, il terzo gestore di telefonia mobile. Per quanto di nazionalità italiana, esso si dà significativamente un nome inglese: Wind.

        Le discoteche

        Una sezione speciale del magazine è dedicata ai locali notturni e alle discoteche: al suo interno vengono riprodotti i biglietti-invito e le locandine, nei quali predomina l’inglese, familiare al target di riferimento, che è quello del pubblico giovane.

        Le date delle feste e dei ritrovi sono indicate in inglese, come anche gli orari; gli artisti ospiti sono indicati come special guests, i dee jays non fanno girare i dischi ma sono dei sound performers. Gli addetti alla sicurezza, coloro che sorvegliano e selezionano il pubblico all’ingresso formano la security; l’incaricato delle relazioni pubbliche è il PR (public relations) , peraltro italianizzato in pierre, e il suo nome segue l’espressione relations by…. Le indicazioni riguardano ogni momento della serata: si danno informazioni sul parking e sulla possibilità di ottenere un free pass.

        Riportiamo alcuni esempi: Saturday from 10.00 p.m. till 04.00 a.m. at Illiria (Madone –BG) – DJ stage: J.K. Lloyd (Giancarlo Loi) – Ticket price: Lit. 20.000 (n. 5, 1994).

        The management reserves the right to keep the atmosphere safe & sexy (1992).

        Safe & sexy stars in the White Angels night (1994).

        Le pagine dedicate alla vita notturna sono sponsorizzate da locali e da stazioni radiofoniche: la pubblicità di Italia Network recita: Music 4 everybody (n. 2, 1993), dove la pronuncia di four è "mimata" dalla cifra. Quella di sostituire una cifra o una lettera a preposizioni o particelle, quando i suoni corrispondano, è una modalità fortemente diffusa nella lingua scritta angloamericana delle giovani generazioni, che si ritrova con una certa frequenza anche nei titoli delle canzoni rock e pop, come Nothing compares to U di Prince, o nei nomi di gruppi musicali come gli U 2.

         

      15. Le automobili, le moto
      16. La pubblicità di automobili e motociclette è caratterizzata, come quella dei prodotti di alta fedeltà, dal frequente ricorso a una presentazione di carattere tecnico, piuttosto dettagliata, spesso in italiano. Ad essa si affianca lo slogan che è invece più frequentemente in inglese; esistono numerose eccezioni a questa regola, soprattutto nel caso di prodotti italiani. Qui difatti la pubblicità tende a sottolineare l’italianità dell’automobile, la cui alta tecnologia è tutta nazionale così come la sicurezza e le prestazioni che ne derivano.

        La Maserati, marchio di consolidata tradizione del mercato automobilistico di lusso, propone sul numero 1 del 1985 una pubblicità tutta italiana che ricalca la struttura dell’articolo di giornale e che, sia nello slogan Il misto veloce sia nel logo La tradizione italiana sottolinea il valore e l’eccellenza di una produzione consacrata dal tempo. Lo stesso discorso vale per la Lancia Delta HF, che non dichiara mai le sue intenzioni e che, a conclusione di un lungo testo che elogia la sportività e la raffinatezza dell’auto, esalta la differenza di viaggiare Lancia.

        In generale negli anni Ottanta predominano brevi slogan in italiano: ciò è vero per Fiat Bravo (n. 12, 1985), Alfa Romeo (n. 1, 1986), Volvo, qualità e sicurezza (n. 6, 1986); ma già nello stesso 1986 (n. 12) la Volvo azzarda un vi perderete tra le curve del suo body: le curve sono quelle della strada e quelle del "corpo" dell’automobile, che viene però prontamente tradotto in inglese: la parola italiana avrebbe conferito al prodotto connotazioni quasi umane causando una perdita di "professionalità" dell’articolo. L’uso metaforico di body dà invece al testo – e all’auto - un tono internazionale e prestigioso, oltre ad attribuirgli un’ambiguità semantica.

        Per la Fiat Uno si assiste a un parossismo di aggettivazioni che dal francese culminano in un aggettivo inglese, quasi a deludere le aspettative del lettore che, dopo che verve, che chic, che charme… potrebbe attendersi un’ultima, esplosiva, definizione francese: e invece la frase si conclude con … uno smart, che colpisce anche perché, oltre a riassumere in qualche modo il senso dei tre aggettivi precedenti, corrisponde al nome del modello reclamizzato (n. 6, 1988).

        Nel 1990 per la Y 10 si utilizza uno slogan in italiano: Piace alla gente che piace (n. 2), ma nello stesso periodo si nota la comparsa di brevi espressioni inglesi connotate in senso pseudo-tecnologico: Peugeot 405 Trophy (n. 8, 1991); Fiat Tipo HSD: Hi-safety drive (n. 4, 1987); Fiat Uno Fire, fully integrated robotized engine (n. 5, 1985); Fiat Barchetta dispone del sistema Fiat code (n. 6, 1995).

        Per la Renault Mégane il testo è in italiano; accanto al marchio, ancora in italiano lo slogan recita: Mégane: l’idea che cambia l’auto (n. 3, 1996); sul numero 3 del 1997 assistiamo al debutto, in un’atmosfera improntata al mito libertario di Easy rider, della Fiat 500 Young: on the road, finalmente: in questo accostamento "naturale" delle lingue inglese e italiana il coal switching è però caratterizzato dal prevalere della prima.

        Come si è notato nel caso degli strumenti di alta fedeltà, anche per la pubblicità delle auto il passare del tempo coincide con la progressiva scomparsa delle dettagliate schede tecniche. Per la Smart, piccola automobile da città le cui caratteristiche tecniche sembrano essere del tutto ininfluenti – per questo modello infatti si punta esclusivamente sull’estetica e sul suo essere assolutamente moderna - basta un invito che sembra un provocazione nella sua struttura ossimorica: Reduce to the Max (n. 12, 1997).

        Le innovazioni apportate alle automobili hanno immancabilmente un nome inglese, che spesso diventa parte integrante del marchio. Si parla, per le auto con ampio sistema di carico, di station wagon (giardinetta è ormai un retaggio di tempi irrimediabilmente trascorsi, sa di Italia pre-boom economico e di ambulanti che portano in giro la mercanzia); se una macchina dispone di quattro ruote motrici è una four wheel drive. Si vedano, fra gli altri, i seguenti esempi: Toyota Station Wagon (n. 12, 1997); Nuovo Subaru 20 T: permanent 4 WD (n. 3, 1995).

        Per quanto riguarda il settore delle moto e dei motorini, notiamo che i nomi dei singoli modelli sono frequentemente in inglese: scooter ha ormai sostituito i nostrani motoretta e motorino, anche se quest’ultimo continua a essere usato abitualmente nella lingua corrente. A loro volta, gli scooter hanno nomi inglesi, e sembra definitivamente tramontata l’era della Lambretta, della Vespa, del Ciao. Negli slogan pullulano i riferimenti alla cultura giovanile, alla canzone, al cinema, ispirati in genere a un’idea di libertà e di indipendenza. Poter sgusciare nel traffico cittadino è diventato, nelle metropoli intasate, il vero segno distintivo degli uomini liberi: e difatti nelle pubblicità più recenti si nota che il target è stato ampliato, giungendo a comprendere, oltre al pubblico degli adolescenti – il quale semmai aspira piuttosto alla moto "da grandi" – quello dei professionisti, disinvolti trenta-quarantenni desiderosi di ridurre il tempo degli spostamenti quotidiani.

        Aprilia Classic: born to be biken (n. 6, 1995); Malaguti Firefox (n. 12, 1996) e Malaguti Phantom: top gun, top scooter (n. 1, 1997); Aprilia Rally (n. 4, 1997); Malaguti Crosser. Malaguti: idee in moto (n. 6, 1997): questo slogan sfrutta l’ambiguità fra il mezzo e il fine, dando luogo a una immediata associazione fra prodotto e libertà di movimento.

        Notiamo da questi esempi come sia frequente il ricorso a un immaginario avventuroso, che associa l’oggetto-motocicletta a una dimensione mitizzata, nella quale dominano i concetti di libertà e di indipendenza ma anche quelli di forza e di potenza. Così gli scooter sono descritti come se fossero piccole grandi moto, pronte a spiccare il salto verso il mondo dei 200 cc. (di recente ha avuto fortuna la produzione di motorini "travestiti" da enduro e da moto da strada), mentre le moto di grossa cilindrata realizzano il sogno del viale delle circonvallazione attraversato come se fosse il deserto americano di Easy Rider.

        Si vedano anche, fra le pubblicità di motorini, Peugeot Speed fight (n. 3, 1998); MBK scooter: a new world (n. 3, 1998); e, per le moto: Cagiva: potenza in atto (n. 3, 1985); Suzuki: enduro allo stato puro (n. 1, 1985).

      17. Il cibo, le bevande
      18. I prodotti per l’alimentazione costituiscono un gruppo relativamente separato da quelli esaminati finora; l’inglese, che pure è presente in maniera massiccia, è spesso limitato al nome dell’articolo e allo slogan – soprattutto nel caso di prodotti destinati al pubblico giovanile, come yogurt, bevande gassate, merende confezionate – mentre il testo rimane in italiano. Esso infatti ha lo scopo di fornire informazioni circa la composizione, la qualità, la naturalezza del prodotto, e la necessità di renderlo comprensibile spinge frequentemente i pubblicitari a usare l’italiano, magari con l’uso di parole inglesi sparse qua e là.

        Sul numero 1 del 1985 "Max" riporta la pubblicità dell’integratore alimentare Enervit Protein. Al nome inglese (parte del quale è, comunque, di fantasia) segue un testo in italiano: Sì, oggi c’è un nuovo gusto per dimagrire: il gusto un po’ selvatico di Enervit Protein ai frutti di bosco. Enervit Protein è l’unico alimento dietetico dimagrante che agisce sull’organismo eliminando i grassi e trasformandoli in energia…. Anche lo slogan è in italiano: Forti e magri.

        Una bevanda internazionale – forse si dovrebbe dire "multinazionale" – come la Coca-Cola non può rinunciare allo slogan inglese, poiché la sua identità, il motivo del suo successo, la sua stessa ragion d’essere come merce risiedono interamente nell’americanità, nella colonizzazione del gusto, nell’"esserci", ovunque, sempre: Always Coca-Cola (n. 7, 1991).

        Lo yogurt della Danone sceglie uno slogan basato sulla corrispondenza del suono fra un elemento e l’altro della frase: Dan’up, take me up: fresh drink yogurth (n. 7, 1993). Si registra qui un errore grammaticale: se l’intenzione del pubblicitario era quella di dire "yogurt fresco da bere", come del resto leggiamo nella pubblicità comparsa nello stesso periodo in italiano, drink avrebbe dovuto essere sostituito da drinking. Nel caso in cui invece si intendesse dire "bevanda di yogurt fresco", allora gli elementi della frase avrebbero dovuto essere distribuiti diversamente: fresh yogurth drink.

        Alludendo alla tazza colorata prodotta come accessorio da affiancare alla confezione di caffè liofilizzato, lo slogan della Nescafé è Nescafé red cup (n. 3, 1998); per la bevanda energetica (nata per gli sportivi, ma in seguito diffusa presso il pubblico che non pratica sport) Gatorade si sottolinea l’esclusività del gusto Black Ice, che viene prodotto in limited edtion (n. 10, 1998). Ancora Gatorade: I have a drink. Life is a sport. Drink it up (n. 8, 1999). Da una parte assistiamo al riecheggiamento della famosa frase di Martin Luther King; dall’altra lo slogan sembra lanciare il guanto di sfida, invitandoci a diventare padroni della nostra esistenza, a vivere la vita come uno sport, al massimo delle possibilità.

        Esaminiamo infine la pubblicità dei gelati Algida che, dal classico Cornetto, forte dello "storico" slogan cuore di panna, approda al più internazionale – e altrettanto fortunato – Magnum (la parola è un latinismo e quindi adombra una connotazione semi-culta nell’ambito dell’opposizione fra serie sassone e greco-latina dl lessico inglese), sempre mantenendo però i testi di accompagnamento in italiano. Soltanto nel 1998 (nel numero 5) si assiste all’introduzione dell’inglese per il nuovo gelato Solero, definito the mind cooler: ennesimo rinvio alla tradizione libertaria degli anni Sessanta e Settanta e all’"allargamento della coscienza" indotto dall’uso di droghe.

      19. Qualche annotazione finale

Elenchiamo in queste ultime righe le espressioni inglesi più ricorrenti all’interno dell’advertising italiano.

L’epressione made in… è praticamente sempre esistita, universalmente accettata – tanto da rendere strano, all’orecchio italiano, il suono del suo corrispondente nazionale: "fatto in…" non ha senso se non come provocazione, come segno di una riscoperta non tanto della dignità della lingua quanto della qualità artigianale del prodotto (e si veda a questo proposito la campagna della Fendi, che per la sua linea di abbigliamento e accessori Fendissime, utilizza addirittura uno specioso fatto nella Repubblica Italiana). In genere, inoltre, un prodotto non è più fatto a mano ma hand made, non più dipinto a mano ma hand painted.

Ancora in tema di autenticazione del marchio, oggi è esperienza quotidiana notare un piccolo TM posto in esponente al nome dei prodotti. La sigla sta per trade mark, espressione adottata in tutto il mondo sia nella lingua parlata che in quella tecnica e commerciale; unico baluardo della conservazione sembra la Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, che continua a usare l’espressione marchio registrato.

Se un tempo si potevano leggere pubblicità corredate da informazioni come "potete trovare il prodotto X presso i seguenti punti vendita", oggi l’indicazione dei negozi che vendono l’articolo è in inglese e diventa parte del testo, elemento di cosmopolitismo aggiunto alla merce: Selected stores (C.P. Company, n. 10, 1994); Nose store (Jet set Int., n. 9, 1995); Costumer’s service (Diesel, n. 3, 1994); Warehouse at… (Fiorucci, n. 2, 1995); Shopping at… (Nod, n. 4, 1994).

Parallelamente, non si dice più "per informazioni telefonare al numero…", ma si usa Info line…; For info…

 

 

 

 

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