TECNICA DEL LINGUAGGIO PUBBLICITARIO

 

I codici del messaggio pubblicitario

Linguaggio pubblicitario e lingua comune

Linguaggio pubblicitario e codificazione retorica

 

 

 

 


I termini che costituiscono l’ossatura di una lingua – come i concetti e gli oggetti che essi designano – contengono spesso richiami, allusioni, rinvii ad altri termini in quanto rappresentano ed esprimono il flusso della conoscenza e la dialettica culturale. Possiamo dunque considerare la parola come l’espressione in nuce di innumerevoli designazioni che da essa potranno avere origine, fino a costituire il disegno complesso nel quale ogni punto raccoglie l’eredità culturale del passato e assume una funzione fondante nei confronti degli elementi successivi.

Le profonde trasformazioni avvenute in Italia dal secondo dopoguerra nei settori dell’economia, della produzione, dell’organizzazione del lavoro, dell’istruzione, della ricerca e dell’uso dei mezzi di comunicazione hanno trasformato visibilmente le strutture e le realizzazioni linguistiche dell’italiano sia parlato sia scritto.

L’affermarsi, nel tempo, dell’italiano come lingua nazionale ha comportato un lento processo di unificazione della nomenclatura: alcuni settori, determinanti per la loro influenza – quelli dell’industria, del commercio e della comunicazione sociale – hanno svolto un ruolo particolarmente attivo e significativo nell’accelerazione dell’unificazione terminologica. Anche il mondo della scienza e della tecnica, forte della spinta espansiva degli ultimi decenni e della diffusa considerazione di cui gode, ha dato un impulso notevole ai processi di divulgazione e di unificazione sul piano nazionale, contribuendo in maniera determinante alla tensione verso un’espressione linguistica sovranazionale e, soprattutto, alla convergenza internazionale della terminologia.

L’uso della lingua italiana all’interno di quel particolare contesto comunicativo costituito dalla pubblicità ha dato luogo a

una rapida cristallizzazione di certi fenomeni e [a] un loro altrettanto rapido evolvere verso forme più o meno innovative.

Una caratteristica essenziale dell’italiano contemporaneo è dunque lo sviluppo parallelo di fenomeni

in apparenza antitetici: da un lato il processo di unificazione linguistica sul piano nazionale con tutte le conseguenze del caso a livello fonologico, morfo-sintattico e lessicale; d’altro lato il proliferare di linguaggi settoriali che agiscono più o meno profondamente nell’economia linguistica del paese. Uno dei più attivi linguaggi settoriali è quello della pubblicità,[…] particolarmente attivo in quanto, a differenza di altri linguaggi settoriali, quello pubblicitario investe tutti gli aspetti e gli oggetti della nostra vita quotidiana.

Tale linguaggio, la cui specializzazione lo pone in contraddizione solo apparente con i processi evolutivi della lingua corrente può essere considerato, oltre che l’organizzazione di strumenti linguistici e iconici diretta alla presentazione di prodotti – tramite una presentazione piacevole e invitante al punto di invitare all’acquisto – un messaggio complesso. Innanzitutto esso si basa su diversi elementi costitutivi, e si indirizza – tramite numerosi canali di diffusione – a destinatari differenziati. Il linguaggio della pubblicità è strutturato attraverso molteplici codici e sottocodici che gli conferiscono un mutevole valore di senso che secondo procedimenti formali differenti, riesce a veicolare significati ideologici.

Il discorso della pubblicità può dunque essere considerato come il frutto della interazione di codici – intesi come sistemi di convenzioni significative, correlazioni fra elementi tratti da sistemi diversi – e di registri eterogenei.

Quattro sono le classi di codici alle quali il discorso pubblicitario fa ricorso:

  1. i codici del veicolo: i sistemi linguistici convenzionali tipici del mezzo di comunicazione utilizzato;
  2. i codici culturali: i codici che si rifanno a una determinata cultura e che concernono tutte le sue espressioni (per esempio economia, psicologia, sociologia, politica);
  3. i codici narrativo-semantici: sono i codici del contenuto e della connotazione;
  4. i codici retorici: desunti dalle differenti retoriche, il discorso pubblicitario li utilizza tramite il registro verbale, visivo, musicale.

L’interazione di registri e codici eterogenei rende complesso e ricco il processo di attribuzione del senso al discorso in quanto è determinato dalla sovrapposizione di unità significative diverse seppure complementari. Uno specifico codice pubblicitario può essere individuato esclusivamente come codice retorico, ossia come sistema che indica e utilizza le soluzioni retoriche dei vari registri.

La ricerca sui codici della persuasione verbale fa riferimento diretto alla tradizione della retorica. E’ significativo notare come, in questo ambito, sia

diffusa la convinzione, maturata da un’osservazione di Roland Barthes, che il registro verbale ricopra la funzione di ancorare quello visivo, fissando una certa lettura dell’immagine: il messaggio linguistico come tecnica destinata a fissare la catena fluttuante dei significati, a combattere il terrore dei segni incerti, a ridurre la polisemia delle immagini […] la presenza negli spot di scritte sovrimpresse che si presentano quali informazioni referenziali sul prodotto, o di headline, payoff, body copy. Altre funzioni accompagnano questa di ancoraggio, per esempio le diverse caratteristiche tipografiche con cui si presenta la scritta e la sua configurazione nello spazio possono connotare una funzione espressiva piuttosto esplicita.

Anche il registro sonoro risponde a differenti funzioni; quella definita "fàtica" da Jakobson – volta a stabilire un contatto con il destinatario e a verificarne l’efficacia – si sovradimensiona e si scinde in quattro sotto-funzioni:

la funzione ludica; la funzione imperativa, che incrementa la propria efficacia nella misura in cui la musica ritma il flusso delle immagini, accentuando il livello di attenzione usualmente riservato al suono; la funzione mnemonica, che spinge a riconoscere attraverso la musica il prodotto che vi è associato; e la funzione riflessiva, che fa riferimento ai gusti del destinatario.

Le operazioni retoriche individuabili all’interno dei messaggi pubblicitari

si rifanno alle operazioni fondamentali dell’aggiunta, soppressione, sostituzione, scambio. Le relazioni dei rapporti elementari che uniscono gli elementi di due proposizioni sono: l’identità, la similarità, l’opposizione, la differenza. Nell’inventario di figure presenti nel messaggio pubblicitario [si registra] il prevalere delle figure d’aggiunta, in particolare la ripetizione, la similarità, l’accumulazione, l’opposizione, i doppi sensi, i paradossi.

La pubblicità tende piuttosto all’accumulazione che alla sottrazione: è più facile inserire un elemento in più che non sopprimerlo dal discorso, perché questa operazione comporta la necessità di condurre il destinatario del messaggio a percepire un’assenza, a integrare un tassello mancante; si può affermare che il linguaggio pubblicitario è in buona percentuale caratterizzato, oltre che dalle figure della sostituzione e dello scambio, dall’accumulo e dalla giustapposizione delle figure retoriche.

La pubblicità parla dunque una lingua che viene a costituirsi in corrispondenza dello spesso instabile punto di incontro fra la lingua comune, gli apporti linguistici propri di svariate tecniche e le strutture formali della tecnica persuasiva. Indagare il fenomeno pubblicitario focalizzandone l’aspetto linguistico significa privilegiarne la funzione di produttore e creatore di un linguaggio che – come tutti i linguaggi settoriali – mentre usufruisce dei mezzi forniti dalla lingua comune crea una propria codificazione del tutto particolare e specifica.

Come si è accennato sopra, qualsiasi slogan può essere analizzato in relazione a diversi ordini di codificazioni. Punto di partenza necessario è l’inquadramento del messaggio all’interno della struttura linguistica che utilizza: nel nostro caso, la lingua italiana. All’interno di questo codice principale si individuano diversi sottocodici corrispondenti ai generi di prodotti da reclamizzare: per esempio, la pubblicità di un’automobile deve fare ricorso a vocaboli tecnici che sono diversi da quelli utilizzati per l’advertising di un profumo o di un capo di abbigliamento. Infine, tutti i messaggi devono essere rapportati al codice collettivo della teoria retorica della persuasione; il ricorso a schemi e a forme di seduzione del consumatore costituisce un elemento essenziale della lingua pubblicitaria: la artificiosità, l’uso non naturale della comunicazione.

Tra i codici utilizzati dalla pubblicità possono peraltro verificarsi convergenze, parziali divergenze, divergenze totali, radicali opposizioni: possono infatti realizzarsi testi che fanno uso, nei diversi codici – verbale, visivo, sonoro – di figure analoghe, diverse, opposte. Un esempio di convergenza fra codici verbale e visivo, realizzata attraverso la figura della comparazione, è costituito dallo spot dei pannolini Pampers: Samford Pampers, as soft as his skin; Samford Pampers, as soft as your hand. Se nel codice verbale la comparazione è tracciata esplicitamente, nel codice visivo la stessa figura retorica è realizzata attraverso una operazione di aggiunta, ovvero un accostamento ripetuto dei gesti della mano della madre che accarezza ora il bambino ora la confezione del prodotto.

Nella campagna Dumb Animals del WWF, al contrario, si registra una rottura della continuità discorsiva: durante una sfilata di pellicce il sangue degli animali morti comincia a sgorgare, schizzando sul viso dei presenti. Il passaggio brusco fra piani del discorso rovescia il punto di equilibrio fra metafora e realtà e invita a una interpretazione metaforica del reale o reale della metafora, provocando una lettura divergente dei codici espressivi.

La motivazione economica tende nella gran parte dei casi a sostituirsi all’area dell’informazione pura e mette in atto un processo di straniamento e di simbolizzazione per cui le immagini e le parole sono allontanate dal loro contesto normale per essere inserite in uno del tutto nuovo. Tale spostamento, lungi dal porsi l’intento di sovvertire le strutture linguistiche a fini creativi e disinteressati – e altrettanto estraneo alla proposizione di un punto di vista differente della realtà – agisce al livello della sovrastruttura, serve a risvegliare l’interesse del destinatario ma non a suggerirgli, attraverso l’uso di metafore e polisemie, uno sguardo diverso sul reale.

Quanto all'ideologia, il vocabolario della pubblicità tende difatti irresistibilmente alla creazione di un linguaggio polisemico diretto alla idealizzazione del mondo quotidiano tramite il continuo rimando ad un orizzonte futuro caratterizzato dal trionfo del progresso e della tecnica; a livello linguistico, tale scenario si concretizza nell’uso di termini che invitano ad un continuo "salto" interpretativo e stimolano la partecipazione della fantasia piuttosto che dell’interpretazione. E il messaggio pubblicitario mostra - o meglio, suggerisce l'esistenza di - qualcosa che è

altro dal prodotto […]. Questa cosa riceve in pubblicità vari nomi: per esempio, quello di esca.

Se nella lingua pubblicitaria l’elemento imprescindibile è la creazione di un rapporto fra il produttore del messaggio, il messaggio stesso e colui o coloro che dovranno decodificarlo; tale rapporto resta però assolutamente indipendente dal tipo, dalla sostanza e dalla quantità di informazione veicolata dal messaggio.

Al contrario di altri linguaggi settoriali, che guadagnano in comprensibilità solo quando alcuni dei loro termini caratteristici riescono ad entrare nell’uso comune – nel momento, cioè, in cui i non specialisti li utilizzano in senso metaforico – il linguaggio della pubblicità è espressivo in partenza, data la sua esplicita funzione di persuadere i destinatari, ma tende d’altro canto a logorarsi nel tempo, a causa di una inevitabile ripetitività dell'uso che, a lungo andare, lo priva della sua funzionalità retorica e comunicativa.

 

    1. Linguaggio pubblicitario e lingua comune
    2. Il rapporto che si instaura fra lingua della pubblicità e lingua comune è duplice: da un lato la prima sfrutta e accentua le possibilità espressive della seconda, dando luogo a fenomeni di fermentazione espressiva e di reciproco arricchimento; dall’altro, tendendo a creare una corrispondenza assoluta fra parola e merce, fra marchio e oggetto, la lingua pubblicitaria può in qualche misura porsi come parassitaria rispetto all’italiano contemporaneo.

      Il copywriter lavora dunque su strutture linguistiche e sociologiche preesistenti mettendo in atto procedimenti che, in generale, possono essere definiti di contiguità: infatti

      parte dalla considerazione del prodotto, non come entità finita, tridimensionale, ma come 'processo', come godimento, insomma dall''uso' del prodotto: trova un utente, e lo rappresenta, e scopre che se in luogo della classe degli utenti - un utente anonimo, che può essere ognuno - mostra un individuo, cioè qualcuno, l'avviso è più forte.

      In ogni caso, la tecnica del linguaggio pubblicitario si applica sia alle microstrutture (i tratti morfologici, lessicali e di micro-sintassi presenti negli slogan) sia alle macrostrutture (il brano di "prosa" o di "poesia" che costituisce lo slogan) espressive; e una prima constatazione è che essa produce numerose innovazioni, o che perlomeno – a causa della necessità di offrire continuamente formule inedite, che peraltro non sono, spesso, altro che la riformulazione o il ribaltamento di tendenze già insite nella lingua – il turnover delle invenzioni stilistiche è decisamente frenetico.

      La lingua italiana, essendo stata per secoli una lingua solo scritta e non parlata, ha innumerevoli possibilità di natura espressiva, fra cui subito si rileva la tendenza verso le formazioni con prefissi, prefissoidi (o primi elementi di una parola composta), suffissi e suffissoidi; tra i prefissi elativi hanno avuto grande fortuna in italiano […] super-, ultra-, extra-, iper-, arci-: la loro vita, salvo che per iper-, si è moltiplicata nel linguaggio pubblicitario: superconcentrato, superautomatico, supersgrassante, superbiologico; con sostantivi: superpannolino, superammonio; con unione del prefissoide bio-, del prefisso super- e del suffissoide –matic: Bio-Supermatic Special […].

      Se l’uso intensivo di un suffisso o di un prefisso può solo produrne l'usura, ecco allora che si provvede a rinforzarlo: la benzina diventa superissima, la merendina Fiesta un piccolo grandolce (con l’utilizzo ossimorico dei termini piccolo e gran).

      Anche nella pubblicità anglosassone le forme composte, i prefissi e suffissi denotanti una foma di eccesso sono numerosi: super-free, extra-strong - passati nell'uso italiano - ultra-thin, orangemostest, buddy-best, Optrex-plus.

      I rapporti che la lingua pubblicitaria intrattiene con la lingua naturale con cui coabita sono estremamente disinvolti:

      non essendo una lingua naturale, la lingua pubblicitaria può usare a suo piacimento del lessico di base, con regole sue proprie. […] Quel che è tipico della lingua pubblicitaria rispetto alla lingua naturale è la produttività di ciascuna regola, che non ha restrizioni. In una lingua naturale i meccanismi che generano il lessico superficiale non sono sempre operanti, […] le lingue artificiali invece possono operare senza restrizioni.

      Nel lessico, la pubblicità moltiplica per esempio la tendenza naturale dell’italiano verso l’utilizzo di nomi composti e giustapposti: fra i primi, citiamo azzeccaregalo, che risale al precedente illustre del manzoniano Azzeccagarbugli; ammazzasete sul modello del popolare ammazzasette; sottobuono a parodiare sottovuoto. Fra i secondi, pienaroma, boccalpronto.

      Curiose le formazioni definite da Bruno Migliorini "parole macedonia", nate durante la prima guerra mondiale, che riuniscono in maniera arbitraria pezzi di parole diverse: citiamo ultimoda (dove i vocaboli ultima e moda si inseriscono uno nell’altro) il fortunato digestimola (le due parole hanno la sillaba sti in comune), intelghiotto e puliziotto. Si tratta di conglomerati fondamentalmente arbitrari, ottenuti attraverso la contrazione e la crasi di mozziconi di parole – alcune delle quali autentiche, altre invece già patrimonio pubblicitario.

      La creazione di simili formazioni ha un suo atto di nascita letterario in Alice attraverso lo specchio di Lewis Carroll, in cui compare l’espressione "portemanteau words" ("parole attaccapanni") ad indicare parole inesistenti create però a partire dalle regole sintattiche della lingua inglese.

      La fondamentale artificiosità della lingua pubblicitaria traspare da ogni aspetto del suo operare sul lessico. Essa difatti agisce sulle parole secondo modalità metalinguistiche, spesso privandole del loro spessore storico e reinterpretandole, annettendo loro nuovi significati o collocandole in contesti imprevisti; o ancora riducendole a meri pretesti grafici o sonori, a sequenze di ideogrammi da comporre e ricomporre a piacimento.

      Secondo Folena la pubblicità,

      per necessità sintattiche e sotto la spinta della moda esotica, e nella ricerca di sonorità o fisionomie grafiche inusitate, presenta un numero grandissimo di formazioni troncate o ‘codimozze’, come vien fatto di dire con una parola che ricorre a proposito di cani smarriti nella pubblicità economica; sono preferite le finali in consonante liquida e nasale e in sibilante, ma ve ne sono di ogni genere.

      Il continuo intervento sulle parole ha su di esse un effetto desemantizzante, che finisce per ridurle a puri suoni: e la tendenza a evidenziare i valori acustici della parola, spesso a discapito di quelli semantici, è centrale nel lavoro che il pubblicitario compie sulla lingua, che viene tesa e rivoltata al limite delle sue possibilità:

      Le parole divengono […] delle parole-caramella […] un qualcosa che il ricevente potrà rigirare tra lingua e palato per estrarne quegli stessi sapori piacevoli che provava da piccolo nel ripetere le filastrocche […]. I messaggi pubblicitari sono talora carezze verbali che permettono all’adulto di ritrovare la propria infanzia linguistica.

      Procedendo nell’analisi delle entità ottenute attraverso i modi di formazione più diversi, troviamo numerosi altri conglomerati sintattici.

      Al risultato della fusione o giustapposizione di più parole esistenti e variamente manipolate si aggiungono i neologismi, appositamente creati per conferire forza allo slogan. Il neologismo non è sempre da considerarsi un gioco di parole; esso lo diventa in modo efficace quando, senza proporre una fusione puramente esteriore di parole diverse, permette due letture contemporanee. In alcuni casi si tratta di vocaboli nuovi costruiti sulla base di modelli già in essere nella lingua italiana – aggettivi come amarevole, verbi come cioccolatarsi, participi come permanentata, avverbi come aperitivolissimevolmente – e la cui breve vita è in qualche modo compensata dal porsi come stimoli a ulteriori creazioni.

      Il wordplay della lingua pubblicitaria inglese deforma anch'esso la struttura grafica e fonica del nome fino a fonderlo con un altro elemento lessicale, creando così il gioco di una doppia referenza in parole che danno vita a "scontri" fra le parti che le compongono: è il meccanismo della crasi. Alcuni esempi: Scweppervescence (Schweppes); Pontinental Holidays (Ponti Holiday Tours); Afiordable Holidays (Turismo Norvegese); Give your feet a Scholliday (Polvere Scholl).

      Il pun si estende a comprendere una intera espressione che, entrata nell'uso come idiom, viene riesumata e posta in un contesto diverso da quello di origine; generalmente il gioco risiede nella resa letterale della figura del discorso, come negli esempi seguenti: Clarks bid to get Britain on its feet again (scarpe Clarks); Go to work on an egg (English Farmers Association); Manage to start your day on the right foot (scarpe Nike).

      Altre volte il pun sfrutta il nome del prodotto e lo inserisce come forma significante in una frase che dà vita al doppio senso dello slogan: Discover how much Whispers can say; J'ai Osé, Men can't help acting on Impulse; More Chic, less cheek; Announcing More; You are Charlie; Underneath they are all Lovable. In altre occasioni il gioco si basa sulla polisemia del termine allo scopo di ottenere effetti di doppia lettura: Players, please; Spoil yourself, not your figure (Weight Watchers: con l'immagine di una donna sdraiata sul pavimento).

      Queste invenzioni, assai comuni nell'advertising destinato ai rotocalchi, sono meno frequenti nella pubblicità televisiva, dove la rapidità della parola, detta ma non vista, può creare problemi di ricezione. Il testo pubblicitario si affida, in questo ambito, più spesso al mezzo-canzone per valorizzare le invenzioni lessicali e foniche: attraverso il jingle passano ritmi, rime, allitterazioni, ritornelli, rhymes che contribuiscono a creare un insieme eterogeneo di figure sonore.

      Una maggiore raffinatezza è individuabile nei neologismi che possono sottendere giochi di parole – Vetril, il puliziotto di casa – o ricorrere all’onomatopea – Croccate le patatine San Carlo – e nelle neoformazioni che, in virtù del loro tecnicismo, riescono talvolta ad attecchire nella lingua parlata: prova-forchetta, prova-finestra. A tali costruzioni si può riconoscere una compiuta realizzazione dello scopo principale cui mira la lingua pubblicitaria:

      la sintesi fra l’espressività e la comprensibilità […], base e premessa […] per poter adempiere la sua prima funzione: far vendere il prodotto.

      I neologismi possono essere di specie diverse: parole già esistenti nel lessico di una lingua possono anzitutto subire una "transvalorizzazione semantica" che attribuisce loro un significato non previsto dal sistema lessicale di riferimento: così un americano diventa un genere di aperitivo, Buondì non è più una forma di saluto ma una merenda e un Bacio è un cioccolatino. Caratteristica comune di queste invenzioni non è tanto la coniazione ex novo di un termine quanto la scelta di una parola comune per designare, in base ad associazioni di significato, un certo prodotto.

      Un secondo tipo di neologismo è quello risultante dalla creazione di parole nuove attraverso la composizione. Sul modello dell’unione di un deverbale con un sostantivo (e dunque sulla scia di termini quali aspirapolvere, tostapane, marciapiedi) nascono i pannolini aiutamamma e il coperchio salvaroma per le confezioni di caffè. Sulla scorta di cassapanca e ceralacca, risultanti dall’unione di due sostantivi, troviamo fondotinta, modamaglia che, come altre fra queste formazioni, sono entrate d’autorità nell’uso quotidiano: e si veda anche il composto di avverbio e sostantivo fuoripasto. In inglese troviamo fra le neoformazioni, oltre al già citato orangemostest, tomatoful, tinfresh, teenyoung, flavoursome. Nelle forme aggettivali composte si creano modelli di notevole complessità anche per una lingua, come l'inglese, che ammette all'interno della sua struttura carichi semantici di forte impatto innovativo e che spesso vanno nella direzione dello stile nominale.

      L’influenza del linguaggio pubblicitario sulla lingua si esercita soprattutto nell’ambito morfo-sintattico sia in specifici fenomeni (per esempio l'uso dell'aggettivo in funzione avverbiale) sia nelle strutture sintattico-stilistiche, come l'uso dello stile nominale: all’interno di questo si verifica di frequente la combinazione di vari procedimenti di alta espressività, come il ritmo e le rispondenze sonore, a creare raffinate simmetrie interne alla frase; ma tale stile può presentarsi in alcuni casi come un tratto di normalità, un fatto di pura comunicazione da utilizzare per annunci che vogliano suggerire una atmosfera strettamente tecnica e specialistica.

      La costruzione che utilizza l'aggettivo in funzione avverbiale - sorride giovane, lava pulito, vivere Shell, corre giovane chi corre Agip - si basa su un fenomeno già esistente nella lingua in espressioni come correva forte, votate socialista, reso ancor più saldo e avviato ad una codificazione definitiva dalla riscoperta operatane della pubblicità.

      Sempre in questa prospettiva si può rilevare la frequenza dei modelli pubblicitari nello spingere ad un uso sempre più raro delle preposizioni: si moltiplicano i sintagmi del tipo modello-famiglia, alimento-natura, filato-fantasia, che costituiscono calchi dalla lingua inglese.

      Se l'aggettivo si sostituisce all'avverbio, accade anche il contrario: un regalo più, una pelle così.

      La pubblicità di lingua inglese è fortemente caratterizzata dal processo di modificazione risultante nel predominio dello stile nominale: questo

      si attua attraverso il doppio aggettivo preposto al nome (es.: peppery potent fragrance, jiffy quick drink, funny fluffy filling); stringhe abbastanza consuete formate da avverbio e participio aggettivale (radiantly glowing skin, naturally blushed cheeks, naturally flavoured yoghurt); forme meno consuete con aggettivo e participio in funzione aggettivale (quick drying cream, elegant fitting trousers, young matching colours); nome e participio (colour-kissed lips, sun-kissed glow, figure-flattering style); o nome e aggettivo (sun-sweet plums, oven-hot meat, Knorr-fresh, Vosene-clean, Lux-soft), o all'inverso (new-face hygiene, young-shape clothes, inner-glow skin), o fraseologie in funzione aggettivale (drop-waist swirls, stay-on - stay-put colour, easy-to.clean ceramic hobs, go-anywhere blouse, so-many-ways cheese).

      Un fenomeno particolarmente interessante della lingua pubblicitaria in rapporto a quella comune è l’utilizzo delle voci tratte dal lessico gergale: si può affermare che il gergo vero e proprio non compare se non in rari casi all’interno degli slogan. Quello che a una prima lettura potrebbe sembrare gergo è difatti

      un tentativo di imitazione di gerghi esistenti, quello dei giovani soprattutto, ma più di frequente è pura invenzione;

      soprattutto nell’advertising italiano si registra tutt’al più l’imitazione di moduli sintattici attribuiti di solito al linguaggio giovanile, o a quello che si presume sia il linguaggio giovanile. Un esempio di gergo autentico può essere tratto da una serie di pubblicità francesi dell’acqua Perrier, che utilizza un autentico argot: Perrier affamine les chipoteux/ relinque les dispoueptics,/ c’est la sphaigne/ des tavolos/ ça coule de source.

      Un tipo particolare di gergo può essere considerato quello tecnico. La differenza nel rapporto che la lingua pubblicitaria intrattiene con il gergo giovanile rispetto a quello tecnico risiede nel fatto che, mentre con l’utilizzo del primo la pubblicità mira all’identificazione e alla mimesi con le modalità comunicative e culturali di un target ben individuato, il secondo è usato in senso volutamente "scostante" e distanziante. Le parole specialistiche servono difatti a fornire una autentificazione scientifica al prodotto, ispirando al tempo stesso un sentimento di reverenza.

      Nella tendenza sempre più spinta alla tecnicizzazione rientra la scelta di parole tratte da altri campi semantici, soprattutto allo scopo di evocare una atmosfera di esotismo e raffinatezza, ma anche per suggerire una specializzazione del prodotto che lo rende superiore e di qualità. Alcuni esempi: dal Laim dei Caraibi della saponetta Fa della Palmolive al potere brillantante del detersivo Finish (in questo caso la parola è inventata e caricata di valore tecnico, elevata al rango di termine specialistico).

      Di fronte a esempi del genere è lecito affermare che se il linguaggio pubblicitario non solo diffonde, e magari codifica, fatti sporadici della sintassi della lingua, ma addirittura

      con la sua forza d'urto può in casi fortunati vivificare moduli arcaici o spenti,

      allora si può affermare che il lessico della pubblicità dipende in definitiva - a dispetto dalle apparenze - dal processo codificatorio operato dalla lingua, perché coopera con questo. Nel momento in cui il messaggio diverge in maniera significativa dal sistema di riferimento - la lingua - esso rischia infatti di non imporsi al di là di una presenza effimera o, nel migliore dei casi, legata a singoli fatti lessicali, quando essi possiedano una carica innovativa tale da far loro superare ogni difficoltà di assimilazione, rovesciando il "difetto" comunicativo in forza espressiva e iconica.

       

    3. Linguaggio pubblicitario e codificazione retorica

Assieme ai rapporti fra linguaggio pubblicitario e lingua comune si devono considerare le interferenze fra linguaggio pubblicitario e codici retorici.

Il discorso persuasivo possiede, per sua definizione, regole che sin dall’epoca classica sono impostate sulla tecnica suasoria. La retorica in sé può servire a fini informativi sul reale oppure a finalità persuasive: in questo secondo caso essa si configura come ridondanza, reiterazione di qualcosa che è già stato accettato e programmato.

La pubblicità è di frequente attestata su livelli di informazione piuttosto scarsi: appare piuttosto come un discorso parziale, schierato, che fa ricorso alla retorica della persuasione usufruendo di tutti gli artifici codificati delle figure di pensiero e delle figure di elocuzione; e ciò vale anche in molti dei casi nei quali la funzione dominante del discorso è quella puramente referenziale.

Posto dunque che esiste un limite oltre il quale la quantità di informazione veicolata dalla pubblicità non ha interesse a spingersi, si può affermare che uno degli aspetti più interessanti nell’economia del messaggio pubblicitario risiede nella sua strutturazione retorica; da una tale prospettiva l’advertising partecipa di un fenomeno di recupero e rivalutazione della retorica come "tecnica del dire", che si è manifestato in anni recenti a livello culturale e critico. L’incontro e l’eventuale sovrapposizione di funzione conativa – che agisce nella lingua – e funzione retorico-suasoria – riscontrabile nello stile – ha l’effetto di caricare il testo pubblicitario di connotazioni e di elementi espressivi.

La retorica pubblicitaria può essere considerata da differenti prospettive: si può ad esempio stilare un catalogo esaustivo delle strutture retoriche impiegate nella costruzione del periodo al fine di individuare il carattere della pubblicità come vera retorica contemporanea; è possibile anche dedicarsi all’interpretazione semiologica di quelle stesse strutture.

Un esempio del primo tipo di approccio è lo studio del discorso persuasivo della pubblicità condotto sulle forme ellittiche e sillogostiche: slogan come E’ un gelato Alemagna, E’ una Rex promettono una doppia rassicurazione, forniscono una doppia garanzia. La prima è nell’implicita affermazione "Tutti i gelati Alemagna/lavatrici Rex sono prodotti di prima qualità", mentre la seconda, sottintesa conseguenza è "Questo è perciò un prodotto di prima qualità". In un messaggio come Piccola, ma A 112 il modello si arricchisce del ricorso all’antitesi.

All’interno della macrostruttura che comprende i messaggi costruiti sul parallelismo e sull’antitesi si inseriscono singole figure retoriche

con decisa preferenza per l’anafora e l’epifora, spesso combinate assieme, cioè per la ripetizione insistente e ossessiva dello stesso lessema all’inizio e alla fine dei membri del periodo, una sorta di bombardamento semantico effettuato sulla mente del consumatore;

in questi casi la finalità ridondante e persuasiva è decisamente prevalente rispetto a quella informativa.

La tecnica della repetitio può essere applicata alle varie componenti del discorso: il nome del prodotto, un aggettivo che lo qualifica (Olio Sasso, crudo sul pane, crudo sui pomodori, crudo nelle minestre), un sostantivo che ne catalizza le innumerevoli qualità (A 112 Autobianchi, un’amica elegante, un’amica sprint, un’amica fedele…), un verbo, un avverbio, una congiunzione. L’effetto finale è quello di costruire un ritmo poetico, che si avvantaggia spesso di innesti formali specificamente letterari. Si veda l’alternanza di quinari e senari per lo slogan di un collant: Senza più grinze…/ come la tua pelle/ senza più peso…/ come la tua pelle./ Misura unica/ perché si modella/ sulla tua gamba/ Mini Bloch/ … come la tua pelle.

Uno dei problemi che l'utilizzo di testi pubblicitari - soprattutto verbali - comporta è la presenza di un discorso che, se da un lato vuole echeggiare i modi della lingua parlata, dall'altro è dotato di una struttura ellittica fortemente condizionata dai limiti di tempo della pubblicità in televisione. Nei testi a struttura anaforica l'elisione del verbo all'interno della definizione del prodotto dà origine a un cumulo di apposizioni che spesso esauriscono l'intero svolgersi del messaggio. Traiamo alcuni esempi da campane inglesi:

- Quavers, the airy potato snack that lays a mild cheesy flavour

on your taste, buds, and quickly melts away.

Quavers, like music to your taste, buds.

Less than half the fat and tasty as can be.

Full of fruit and fitness and low in calories.

From the family of Ski.

Fresh with the tang of citrus, four natural fruit flavours. Strawberry, that's fruity.

Orange, that's fruity too.

Zingy lemon, tangy lime.

Two of the tastes so refreshing to chew.

Opal fruit, in new sunshine flavours too.

L'ellissi riguarda di volta in volta le forme to be, it is, it has, it is made with, it is available in, there is etc.

Nel discorso quotidiano noi usiamo la lingua in funzione principalmente indexicale o deittica, cioè legata ad elementi contestuali e pragmatici; si tratta di una lingua prevalentemente concentrata sul lessico dove i nessi sono necessari solo e nella misura in cui il contesto non è in grado di provvedervi e di chiarirli. Nel discorso pubblicitario il contesto è l'immagine in movimento, la situazione pragmatica presuppositiva di sfondo è quella rappresentata da conatività-ricezione. L'ostensività dell'immagine rende chiari certi 'salti' che risulterebbero incongrui in altri contesti.

L’advertising attinge con frequenza anche al serbatoio delle allitterazioni e, in genere, delle figure che comportano una ripetizione di suoni – quali la rima e la paronomasia – in quanto l’accostamento fonico dei legami di ritmo e rima ha un indubbio effetto retorico, quasi ipnotico, nei confronti del destinatario.

Effetto che, peraltro, può essere raggiunto anche con la totale separazione fra parole e significato: è il caso delle cosiddette parole-ringhio ("snarl- wolds") e parole-fusa ("purr-words"), prive di qualunque relazione con la realtà e con la lingua codificata e dotate semmai di un forte potere seduttivo tutto concentrato nel suono, che mostrano come spesso l’ascoltatore tragga il massimo della soddisfazione da termini che non comunicano alcuna informazione. Si tratta qui di una fascinazione che coinvolge

affettivamente, a prescindere totalmente da ciò che viene detto. […] Come i serpenti sono fatti oscillare dalla nenia del flauto dell’incantatore, […] noi siamo fatti oscillare dalle frasi musicali dell’ipnotismo verbale.

In questo tipo di comunicazione svolgono un ruolo essenziale l’allitterazione e il ritmo: ne è un esempio il famoso slogan per la campagna presidenziale di Eisenhower, I like Ike.

Il campo delle figure di stile è poi dominato dall’interrogazione retorica, con le varianti della percontatio, sequenza di domanda e risposta, e della subiectio, risposta ad una interrogazione sottintesa, a stabilire un dialogo secco e stilizzato al cui centro campeggiano le virtù del prodotto, più o meno indirettamente esaltate dallo scambio di battute.

La presenza delle due figure "istituzionali" dello scambio dialogico, costituite dal parlante e dall’ascoltatore, è condizione imprescindibile per la nascita di quell’atto di comunicazione che è il messaggio pubblicitario; e quest’ultimo si basa a sua volta sull’esistenza di un certo numero di presupposizioni comuni ai dialoganti, accettate come dati di fatto dalla incontestabile validità. La lingua pubblicitaria fa larghissimo uso di questi strumenti dell’argomentazione; ma, piuttosto che richiamarsi a vere presupposizioni patrimonio acquisito dell’ascoltatore, tende ad attribuirgliene di nuove, create appositamente per adattarsi al suo modo di pensare. In effetti, lo scopo dell’advertising essendo quello di sfuggire l’ovvietà – che rischia di essere poco redditizia – si verifica spesso un meccanismo di rovesciamento delle presupposizioni universalmente accettate, che capovolge ogni aspettativa logica e dà luogo a un effetto di spiazzamento simile a quello provocato dalla figura retorica dell’aprosdòketon, dell’inatteso.

Alcuni esempi: Gli manca qualcosa/ Per questo è un regalo perfetto: uno slogan di questo tipo ribalta la normale presupposizione che una merce debba essere dotata di tutti gli accessori che ne fanno un oggetto desiderabile. Abbiamo scoperto che esiste in Italia un bicchiere ancora più diffuso dei bicchieri di Bormioli (nell’immagine si vedono due mani a coppa piene d’acqua). In questo caso la presupposizione potrebbe essere definita come metapubblicitaria: all’ascoltatore viene attribuito l’ovvio pensiero che il prodotto venga reclamizzato come il più venduto. Dire "i bicchieri Bormioli sono i più venduti in Italia" risulterebbe dunque scarsamente efficace perché verrebbe a coincidere con una presupposizione che il destinatario già si aspetta di veder ribadita; ecco allora la negazione di tale presupposizione, inattesa quanto decisiva: esiste un bicchiere ancora più diffuso, solo che si tratta delle mani unite a coppa, che non costituiscono un vero bicchiere e certo non sono una merce che si possa acquistare. Il messaggio, infine, ribadisce quello che sembrava voler negare.

Similmente, rovesciando la presupposizione che un prodotto debba essere utile ma anche conveniente, dire che esso è costosissimo contribuisce a creare nel lettore la convinzione che esso sia destinato ad una ristretta comunità di happy few – come il Brut Carpené Malvolti, solo per alcuni – e a rinsaldare la sua volontà di entrare a far parte di quell’esclusivo circolo.

Attraverso la prosopopea, invece, la pubblicità tende a conferire al prodotto aspetto e qualità umani – spesso attribuendogli tratti maschili se la merce è diretta al pubblico femminile, e viceversa – agendo anche nel senso di insinuare un sottile richiamo sessuale. Questo meccanismo di avvicinamento della merce alla dimensione della quotidianità, il procedimento per cui il nome del prodotto diventa parte del "vissuto" del consumatore, si concretizza nel trapasso che alcuni marchi compiono all’interno del lessico usuale. I nomi di alcuni prodotti

per il grande uso collettivo e perché vengono ad essere considerati normali nella coscienza del parlante, arrivano a penetrare in esso in maniera più o meno salda; la parola propria, legata da una ditta a una sua fabbricazione, giunge ad avere la caratteristica ed il significato d’un nome comune puramente descrittivo, che designa un tipo generale di prodotto.

E’ il caso di voci come aspirina, borotalco, grammofono, linoleum, che coincidono ormai con altrettanti generi merceologici, in quanto nessuno associa più questi termini ad un marchio particolare. L’attenzione linguistica conduce in casi siffatti, piuttosto che a svelare i meccanismi della comunicazione pubblicitaria – che sono del resto noti, quantomeno a livello di conoscenza superficiale – a rilevarne l’estrema raffinatezza: l’attività svolta da linguisti e semiologi all’interno delle agenzie pubblicitarie è finalizzata alla ricerca del "nome giusto" per ogni prodotto. Si tratta del procedimento definito coal switching: la creazione di "parole-etichetta", marchi di fabbrica imposti dall’alto del laboratorio linguistico sottratti in definitiva al processo di continua ricreazione che è caratteristica fondante della libertà linguistica. Una parola come vaselina, totalmente identificata dai parlanti con un "oggetto" slegato da qualunque connotazione pubblicitaria, è il prodotto della fusione di veri elementi (vas, derivante dal tedesco wasser, -el, iniziale del greco élaion e –ina, suffisso genericamente scientifico, saccheggiato dalla chimica) non è dotato di una etimologia specifica e nemmeno di un significato particolare; e tuttavia è, al pari dei termini prima citati, parte integrante di un lessico che la pubblicità utilizza allo scopo di impedire la risposta critica dell’utente, suggerendo invece valori latenti dal chiaro effetto ipnotico . Un "nome-etichetta" universalmente noto è aspirina, altro esempio di nome proprio passato a nome comune, poi tornato ad essere nome proprio rivendicato come marchio dalla casa produttrice, la multinazionale Bayer. Tuttavia, nella coscienza dei parlanti e nell’uso linguistico spontaneo continua a verificarsi un’oscillazione, un conflitto fra le due posizioni di nome proprio e nome comune, e non è raro un impiego immediato del vocabolo aspirina che, nel pensiero di chi parla, continua ad avere "la minuscola", come generico riferimento al tipo di prodotto farmaceutico .

E’ una grammatica saldamente invalsa quella che mira a far emergere la "personalità" del prodotto, spesso attraverso il meccanismo della traduzione di cose in termini di persone e viceversa: la pubblicità italiana apprezza in modo particolare il registro affettivo secondo cui il prodotto ama, si prende cura del consumatore e lo mutua spesso (fra gli esempi: Alpenliebe, la carezza che sa di latte; Yomo ti vuole bene) dall’equivalente schema inglese (Loving Care, the gentle conditioner for your hair; Flowers, the loving message).

Quella che potrebbe essere chiamata "intensità" delle parole, il loro valore espressivo, ha dunque un ruolo determinante nel collocare il prodotto nella mitologia consumistica costruita per colpire l’immaginario del pubblico; la distinzione, individuata dagli stessi pubblicitari, fra "parole piene e parole strumento" e il loro utilizzo intelligente si rivelano di fondamentale importanza per la creazione di uno slogan efficace.

Il processo utilizzato dalla lingua per rappresentare, denominandolo, un oggetto, fa parte di un più vasto meccanismo di attribuzione di valore: il nome difatti è un segno il cui significante, la cui forma espressiva grafica o acustica, canalizza il significato al quale è ricondotto l’oggetto nominato, riferendosi alle sue caratteristiche. Nel momento in cui si sceglie e si usa un nome si innesca un processo di enunciazione in cui il nome, in relazione all’oggetto, è inserito in una logica di pensiero e di comunicazione; la scelta del nome per una merce è dunque frutto di un’operazione strategica che considera sia la qualità dell’oggetto da denominare sia il possibile utilizzo che dell’oggetto sarà fatto. Si deve operare, perciò, in modo da creare una immagine aderente al prodotto e che si presti a essere utilizzata con facilità nella campagna pubblicitaria; adoperando, in sostanza, gli strumenti di una accurata strategia di naming. Consideriamo alcuni esempi: se leggiamo la parola "ritmo" si crea nella nostra mente l’idea di musica; ma se leggiamo Ritmo, l’autovettura Fiat, la stessa parola innesca riferimenti ulteriori e complementari che indirizzano la nostra interpretazione verso un oggetto - l’automobile - in movimento, dotato di caratteristiche di armonia, ripresa, velocità. Il marchio Fiat, infine, è la firma del prodotto che contribuisce ad aumentare la credibilità del messaggio.

Se invece leggiamo Impara la samba pensiamo al ballo brasiliano; ma se la stessa frase sovrasta l’immagine di una automobile colleghiamo immediatamente il nome all’oggetto, trasferendo su quest’ultimo le caratteristiche di allegria, leggerezza e vitalità che il primo ci ispira.

La pubblicità basa gran parte della propria efficacia sulla forza del linguaggio figurato; il nome industriale scelto per un prodotto deve creare immagine attraverso sensi letterari o figurati che risponda ad obiettivi di pianificazione aziendale, tenendo sempre conto del fatto che le capacità di penetrazione del naming si basano su dati semiotici concreti. Innanzitutto, tanto il nome comune dell’oggetto quanto il nome che gli viene attribuito per il mercato e che deve "rappresentare" quell’oggetto sono dei segni, quindi dotati di un significante e di un significato. Inoltre vi è il marchio di fabbrica, che spesso funziona come puro significante, a meno che sia venuto a identificarsi con il prodotto stesso (per cui nel momento in cui si dice "ho comprato una Fiat" si opera la sostituzione del marchio all’oggetto). Molte sono le possibilità combinatorie nell’utilizzo di questi segni cui la pubblicità ricorre: si parla dell’intero ventaglio di possibilità offerto dai tropi quali metonimia, sineddoche, metafora, iperbole, che subiscono in modo significativo il processo di usura linguistica cui queste figure sono sottoposte; sia il paragone implicito in cui consiste la metafora sia l’uso del superlativo rischiano - proprio in ragione della loro efficacia e dell’utilizzo spesso corrivo che soprattutto in passato ne è stato fatto - di diminuire anziché aumentare la credibilità e la forza espressiva di un testo.

Al contrario, maggiore efficacia e durata dimostrano i messaggi basati sui procedimenti più inusuali e raffinati della polisemia e dell’ambiguità semantica. Due esempi: Il primo sorso affascina… il secondo Strega, dove l’ambiguità si concentra sul nome del prodotto che in questo caso funziona anche come verbo; E’ bello camminare in una Valleverde: qui il marchio della casa produttrice di calzature e il sostantivo, evocatore di spazi incontaminati, si sovrappongono a definire i confini geografici e al contempo ideali di un relax che, si suggerisce, è alla portata di chiunque.

Il marchio di fabbrica può essere utilizzato per creare il nome del prodotto con il risultato di svariati effetti di spettacolarizzazione. E’ necessario, a questo scopo, che il marchio sia conosciuto da parte dell’audience. Oltre a quelli sopra citati, possiamo ricordare i marchi Pavesi (da cui il nome Pavesini per un tipo di biscotti), Dior (Diorissimo), Alfa Romeo (Alfetta), Hanorah (Hanorable). In altri casi, il marchio o una parte di questo possono essere combinati con il nome comune dell’oggetto da pubblicizzare: ne derivano nomi come Nestea (Nestlè + tea), Dioressence (Dior + essence). Quindi il nome industriale può ricalcare la funzione del prodotto stesso, la sua caratteristica principale e imporre percorsi di senso strettamente connessi all’utilizzazione del prodotto, ai suoi componenti o alla sua efficacia. Alcuni esempi: Senzacqua, Orzoro, Ovomaltina.

Se invece si scelgono per la creazione del nome industriale riferimenti esterni al prodotto, allora il nome sarà di tipo metaforico o allusivo e stimolerà una associazione fantastica: Diva, Fidji (profumi), Samba, Panda, Polo (automobili), Tahiti (bagnoschiuma), Saccottino, Trottolina, Macine, Abbracci (prodotti dolciari), Baleno, Tuono, Vispo (prodotti per la pulizia domestica).

L’architettura sintattica e figurata del messaggio deve essere ricondotta ad un livello simbolico che rende necessario l’uso della "chiave" semiologica, in quanto il creativo ha il compito primario di costruire una vera e propria mitologia, una selva di simboli all’interno – e spesso in apparente contrasto con essa -dell’ideologia del consumo.

Il meccanismo metonimico (evocazione di un effetto attraverso la sua causa) per cui i biscotti Primi raggi del Mulino Bianco (che sono, per l’appunto, ricchi di sole) richiamano alla mente del consumatore la catena "sole-calore-naturalezza-bontà e genuinità del prodotto" suscita in lui l’idea che la condizione di felice idillio naturalistico sia direttamente collegata a quel pacco di biscotti; così la pubblicità del bagnoschiuma Vidal è costruita per far appetire non tanto il prodotto e la sua "banale" funzione igienica quanto i suoi presunti effetti: la vitalità e la sensazione di libertà, concretizzati dall'immagine di un cavallo in corsa.

La contiguità di alcuni campi semantici omogenei delinea un quadro complessivo di serenità; essi sono le tessere sparse di un mosaico mitico che all’uomo contemporaneo è ancora dato sperare di poter ricomporre utilizzando il collante delle merci.

Significanti e significati creano, intorno a un oggetto di consumo, una serie di relazioni e associazioni da cui si produce il simbolo:

Ai simboli pubblicitari pertiene quella che Borges chiama la ‘natura plurale’ del simbolo, che può proporre al decodificatore una duplice e triplice lettura. […] La funzione mistificante dell’elemento simbolico, mimetizzata sotto forme di linguaggio artistico, gioca con la psiche del destinatario in quanto la destinazione del messaggio appartiene all’universo pragmatico.

La sinestesia partecipa di questa natura "plurale" in quanto si pone alla convergenza del fenomeno linguistico con il piano sensoriale, chiamando in causa il gusto, la vista, il tatto. L’unione, in uno stretto rapporto, di parole che si riferiscono a sfere sensoriali diverse, ha profonde radici nelle lingue antiche e moderne e soprattutto nelle realizzazioni della poesia moderna, in particolare del Simbolismo francese; ma se ne registra la presenza anche nella lingua d’uso corrente, come nelle espressioni "colore squillante", "voce calda". Sicuramente la pubblicità si giova in misura significativa delle potenzialità altamente suggestive che questa figura reca in sé, sfruttandone tutte le interrelazioni e la varietà delle tipologie. Nello slogan Freschezza profonda, freschezza del deodorante Williams spray sono coinvolti vista e olfatto, mentre il valore semantico dell’aggettivo è quello di "grande"; Riserva Royalstock, dal gusto morbido come il velluto e Come una carezza… il gusto morbido di Royalstock chiamano in causa il gusto e il tatto. Lo slogan delle lampadine Philips, che illuminano a luce morbida, unisce il tatto e la vista; rientra invece nella variante della pseudosinestesia il rapporto stabilito fra i diversi piani percettivi nei messaggi che pubblicizzano il Brodo Liebig… Sapore deciso e Biancosarti, l’aperitivo vigoroso.

Un modello di metafora che si apparenta alla sinestesia per il fatto di fondere in uno due momenti percettivi diversi è quello riconoscibile nel tipo sbuccia la tua aranciata, frutta da spalmare, cioccolato munto fresco per te. Esso si avvicina alla sinestesia tradizionale in quanto nasce da una violazione nella scelta e dunque da uno scarto rispetto alla prevedibilità. "Sbucciare", "spalmare" e "mungere" sono verbi che richiedono come corrispettivo un elemento ben determinato, rispettivamente solido, malleabile e liquido. Il fatto di applicarli a un elemento dalla consistenza imprevista e dissonante rispetto alla regola (in questo caso: liquido, malleabile, solido) crea una reazione che può essere definita straniante. In questi esempi la sinestesia non consiste tanto nello scambio puro e semplice di tratti semantici, quanto nell’accostamento di fasi temporalmente distinte e separate: nell’ordine logico, infatti, si sbuccia l’arancia e si beve l’aranciata, si coglie la frutta e si spalma la marmellata, si munge il latte e si fa il cioccolato. Negli slogan citati, la compressione di due momenti distinti nel tempo all’interno di una costruzione unica ha lo scopo di suggerire l’idea della genuinità del prodotto, il quale sembra, più che il risultato della lavorazione di materiali naturali, addirittura coincidere con quei materiali

La maggior parte delle metafore, metonimie, sineddochi presenti nei messaggi della pubblicità va dunque letta su diversi piani; se da un lato infatti l’advertising fornisce al consumatore – attraverso i mezzi della retorica – i contorni di una moderna mitologia, dall’altro esso si costituisce spesso come imitazione del messaggio artistico.

La mimesi del discorso dell’arte ha l’intento di colmare una lacuna del discorso pubblicitario: il primo riflette attivamente – in modo più o meno fedele; aderendovi o contestandola; piegandola comunque ai propri fini creativi – l’ideologia della società all’interno della quale esso nasce, mentre il secondo sembra piuttosto essere un parassita di tale ideologia, un accorto rielaboratore di idee e di forme che raramente gli è concesso – dalle sue stesse regole - di creare in totale autonomia.

 

 

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